martedì 26 ottobre 2010

Eco-gioielli e accessori green





Eco-gioielli e accessori green: concept creativi per uno stile ecologico e sostenibile



L’amore per la natura e il desiderio di ridurre il proprio impatto sull’ambiente favoriscono l’estro e la creatività. Non siete d’accordo? Eppure, per averne una prova, basta pensare alle invenzioni sempre più innovative di eco-designer ed eco-artisti contemporanei, capaci di utilizzare solo elementi naturali come pietre o foglie per realizzare le proprie Groopere, che siano sculture, installazioni, mobili, accessori per la casa o per la persona. A quest’ultima categoria appartengono gli eco-gioielli: piccole idee non-convenzionali, uniche e totalmente sostenibili, che puntano a coniugare stile, ecologia ed etica. In un modo che, nella maggior parte dei casi, è decisamente originale.
Oltre a fedi nuziali e anelli di fidanzamento solidali, a gioielli riciclati o fai-da-te e a trovate singolari e decisamente “verdi” come la Growing Jewellery del designer islandese Hafsteinn Juliusson, moltissimi artisti si sono cimentati in concept creativi per una gioielleria green, ad impatto ambientale nullo o quasi: una forma di arte innovativa e ancora tutta da esplorare, che si basa su particolari ed accessori capaci di arricchire o completare lo stile di ciascuno senza comportare, ad esempio, lo sfruttamento dei lavoratori e delle risorse dei paesi più poveri, o piaghe quali conflitti e contrabbando.




Tra le idee più interessanti troviamo collane e bracciali realizzati con vere e proprie foglie, opera dell’artista Ceca Giorgeva: si tratta di monili divertenti, insoliti, essenziali, dal sapore esotico e – particolare di certo non trascurabile – interamente compostabili. Per un look unico e indubbiamente ecologico.
1_Ceca_Giorgeva
Lo stesso concept – un mix di originalità e sostenibilità –  ma con un pizzico di ricercatezza in più è presente anche nelle sofisticate creazioni dell’artista americana Paula Hayes, e in particolare nelle sue “collane viventi”, Living Necklaces.



Si tratta di gioielli davvero particolari, capaci di crescere e cambiare giorno dopo giorno, in quanto realizzati con pianticelle e terriccio. Accessori non solo da indossare e da vivere, quindi,  ma anche da coltivare, proprio come gli “anelli viventi” o Living Rings di Juliusson.


Originali, preziose, elaborate e divertenti sono anche le creazioni dell’americana Sarah Hood, in cui materiali come il vetro e l’argento convivono con i più disparati elementi organici. Nella sua ampia collezione, in vendita sul suo sito oltre che su Etsy, troviamo infatti bracciali e collane di ghiande, foglie e fiori essiccati, anelli sormontati non da diamanti o pietre preziose, bensì da vasetti in terracotta e piantine grasse e curiosi pendenti che contengono semi e spezie varie. Il tutto per uno stile green, sofisticato e decisamente non-convenzionale.



Dulcis in fundo, ecco le originalissime creazioni di una designer italiana, Francesca Gabrielli, che abbiamo avuto modo di conoscere e di apprezzare in occasione del vernissage Eco Female Cut, tenutosi a Roma a metà settembre. Le sue proposte uniscono le tecniche più tradizionali dell’arte orafa con una ricerca continua di materiali alternativi, come vetro, alluminio e specchietti catarifrangenti. Da questo binomio nascono dei gioielli innovativi e sostenibili, per donne al passo coi tempi e che amano farsi notare.



È il caso, in particolare, della collezione Street Art, che – come rivela il nome – trae ispirazione proprio dalla strada e dalla vita quotidiana: gioielli caratterizzati dall’uso del catarifrangente, che sostituisce le pietre preziose, dando vita a collane, bracciali, anelli e orecchini davvero unici, dalle forme moderne e dai particolarissimi effetti cromatici.
Lisa Vagnozzi



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giovedì 7 ottobre 2010

segno artistico-segno grafico




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"segno artistico-segno grafico"
l'arte vista da una angolatura grafologica
© Bruna Stefanini


Grafologia e storia dell'arte sono due discipline tra loro diverse ma che hanno un punto in comune molto importante: si occupano entrambe dello studio di un significato attraverso un significante.
La grafologia si occupa, infatti, dell'analisi di singole grafie vergate a mano. Il significato non sta nel contenuto, nei concetti che la scrittura ci comunica ma nel ritratto di personalità (come riflesso di strutture mentali inconsce) che scaturisce dallo studio del significante. In questo caso, quindi, il significante ci rivela un significato altro rispetto al contenuto
Lo studio dell'arte si avvale anch'esso di un significato e di un significante e sui due termini la storia e la critica d'arte hanno prodotto svariati testi che affrontano l'argomento da diversi punti di vista.
Quel che ci interessa analizzare in questo contesto è il segno o la forma artistica in relazione al contenuto intrinseco che si vuole trasmettere. Non solo quindi, il contenuto iconografico dell’opera ma anche il come, attraverso cioè quali segni ci viene comunicato.
L’obiettivo che ci prefiggiamo con questo contributo è quello di analizzare alcune opere d’arte utilizzando lo strumento della grafologia che ci permetterà di estrinsecare una simbologia del segno usato nell’arte simile a quella che ci porta alla interpretazione delle grafie.
I segni che andremo ad individuare coincidono per lo più con il messaggio contenutistico del quadro. Cercheremo di dimostrare, in questo modo, che il linguaggio segnico usato dall’artista è di fatto assimilabile al linguaggio codificato dalla grafologia.
Le considerazioni che si andranno a fare si riferiscono alla singola opera analizzata, non al linguaggio complessivo dell’artista. Questi potrà, infatti, usare un linguaggio anche completamente differente quando vuole trasmettere messaggi diversi, come vedremo nel caso di Carlo Carrà.
Le opere scelte per l’analisi appartengono al nostro secolo perché il linguaggio pittorico ha espresso una libertà maggiore rispetto ad altri secoli. L’arte contemporanea, infatti, perseguendo una ricerca espressiva avulsa per lo più dall’urgenza di accontentare la committenza, ha seguito percorsi autonomi. Se, di fatto, si è così allontanata dal grande pubblico, si è però viceversa avvicinata a quel mondo segnico svincolato dal naturalismo e, a mio parere, più vicino al simbolismo segnico usato in grafologia.
Il primo quadro appartiene all’espressionismo. Questo movimento si sviluppa in Europa intorno al 1905 e ha due ‘focolai’, uno francese che fa capo al gruppo dei Fauves (Belve), l’altro tedesco con il gruppo die Brucke (il Ponte). Condividono la critica all’impressionismo e al clima accademico dell’inizio del secolo, ma hanno espressioni pittoriche differenti, almeno da parte dei due rappresentanti più autorevoli.
Il gruppo dei Fauves è meno organico di quello tedesco e non si avvale di un vero e proprio programma. Gli artisti che ne fanno parte useranno il colore come ‘arma’ espressiva. La realtà, per loro, non è che un ‘motivo’ dal quale partire, e nel percorso passerà per la soggettività dell’artista che la riprodurrà nella tela inconfondibilmente segnata da questo incontro. Sarà dunque un’altra cosa, non avrà, né vorrà avere, riscontri naturalistici. E’ l’atto creativo, l’incontro di oggetto e soggetto che non può che avvenire attraverso l’arte.


"La danza" di Henri Matisse (1869-1954).

Matisse è l’artista più noto in questo ambito e sarà quello che, conclusa l’esperienza fauvista, proseguirà la sua ricerca artistica in maniera più consequenziale rispetto al suo primo periodo. Nel grande quadro la "Danza" (Pietroburgo, 1909) dipinto assieme alla "Musica" per il palazzo di un ricco industriale russo, abbiamo una sorta di semplificazione di colori e forme.
Cinque persone danzano tenendosi per mano, tra cielo e terra. E’ una danza cosmica, un’armonia universale, una gioia di vivere cara alle tematiche di Matisse (vedi "La gioia di vivere" del 1906). Una lettura "grafologica" dell’opera ci fa subito notare la curvilinetà del segno. La curva, delimita tutte le forme, nelle braccia dei danzatori, nelle gambe, nella terra. L’armonia universale è trasmessa dalla cadenza ritmica dei corpi, dal diseguale metodico con il quale si muovono le figure.
Anche le inarcature dei corpi disegnano linee curve, aste a destra perché in funzione del cerchio e dell’altro. La figura a sinistra, inoltre, ha il corpo in opposizione al confine del quadro, non al cerchio prodotto dalla danza. I significati grafologici di curva li ritroviamo nel significato del quadro. L’artista esprime l’accoglienza dell’altro, l’adattamento armonioso all’universo. Esprime la continuità armonica e la fluidità tra le figure con il segno attaccata, le braccia creano un legame che non si interrompe; con il disuguale metodico nella cadenza ritmica dei corpi; con aste a destra per la disponibilità e la cedevolezza all’altro, che in questo caso può essere il cosmo stesso; con parca per l’essenzialità del messaggio privo di orpelli inutili, per la ‘parsimonia’ degli elementi che compongono il quadro e che gli danno un valore universale, essenziale.
Buona e armoniosa inoltre la triplice larghezza se si considera la figura come parola e lo spazio equilibrato tra di esse. I segni grafologici individuati confermano il significato che l’artista ci voleva trasmettere attraverso quest’opera. Ha usato quindi gli stessi codici simbolici che usa la grafologia nell’analisi delle grafie.
Ma passiamo ora ad un altro artista contemporaneo di Matisse appartenente anch’esso all’espressionismo ma diametralmente opposto.
"Cinque donne sulla strada" di Ernest Ludwig Kirchner (1880-1938).

Kirchner appartiene all’espressionismo tedesco della Die Bruche. E’ questo un movimento che condivide con i Fauves diversi aspetti che abbiamo già esposto, come l’elemento soggettivo e la deformazione della realtà. Diverso è invece il programma che vede i giovani ‘del Ponte’ contrapporsi in maniera aspra e fortemente critica nei confronti della società contemporanea. Siamo nella Germania degli anni precedenti la 1° guerra mondiale, il diffuso ottimismo e la volontà di potenza nascondono un profondo disagio e un’angoscia profonda che presagisce l’imminente catastrofe.
Gli espressionisti rivelano, attraverso le loro opere volutamente sgradevoli, tutto questo. Non verranno capiti, proprio perché rappresentavano uno specchio impietoso di quella realtà.
Nel quadro ‘Cinque donne sulla strada’ (olio su tela, Colonia, 1913) Kirchner ci mostra prostitute in un marciapiede.
Il segno dominante è l’angolosità, le sagome sono rigide e spigolose come incise in un materiale duro. Non a caso, gli espressionisti tedeschi amavano la xilografia, quel contatto aspro tra sgorbia e legno che produceva un’immagine rigida, angolosa "…di queste operazioni manuali, che implicano atti di violenza sulla materia, l’immagine reca le tracce nello stento parsimonioso del segno, nella rigidezza e nell’angolosità delle linee…" (Argan, 1988, vol. III p. 224) . Questo aspetto rimane nella pittura che attraverso la secchezza e l’angolosità del tratto denuncia un non adattamento all’ambiente, una esistenza sofferta e forzata nella mercificazione del proprio corpo.
Un segno forte, deciso, senza sfumature, un grossa nei segni neri e senza sfumature per evidenziare un’esistenza materiale priva di spiritualità. La triplice strettezza inoltre, evidenziata dalla vicinanza delle figure (considerate in questo contesto sempre come parole), accusa un inaridimento dell’esistenza chiusa in sé stessa, senza generosità.
Ed ancora possiamo rilevare stentata nelle forme non armoniche, nella sofferenza del gesto come espressione di inquietudine e di tormento interiore.
Con il segno staccata, per la mancanza di relazione tra le figure, chiuse nella loro individualità che non si guardano, non comunicano, indisponibili all’apertura all’altro. Irta, secca, aste rette delle figure caratterizzate da secchezza e angolosità, ci parlano di grettezza, isolamento, rigidità, di reazioni aggressive di una società alle soglie della guerra.
Possiamo facilmente notare la differenza nei segni individuati e nei significati con il quadro la "Danza", e come Kirchner usi anch’esso la simbologia del segno come veicolo di significati come fa la grafologia.

"I funerali dell’anarchico Galli" di Carlo Carrà (1881-1966)

L’autore è uno dei primi ad aderire al movimento del quale condivideva l’aspetto anarcoide, e il quadro si riferisce infatti proprio ai funerali dell’anarchico Galli assassinato a Milano nel 1904 (olio su tela, New York 1911). I funerali erano sfociati in una mischia, nella quale il pittore era rimasto coinvolto. Carrà realizza l’opera usando quelle che i futuristi chiamavano le ‘linee- forza’, rappresentazione cioè di una tendenza direttrice della linea che, visualizzata all’interno del quadro, dà il ‘movimento’ della scena raffigurata. Potremmo chiamarle anche ‘vettori’. Le linee- forza in questo caso sono in contrasto, una contro l’altra, traiettorie multiple dei gagliardetti agitati, dei bastoni dimenati nell’aria.
Si indica qui contorta per il brusco ripiegarsi della direzione, espressione di una contrapposizione improvvisa; angolosa per lo spezzarsi continuo delle linee segno di un contrasto; confusa per il groviglio di direzioni e l’accavallarsi delle immagini; disordinata, per la prevalenza dell’elemento impulsivo, per l’imprevedibilità dei contrastanti stati d’animo. Slanciata nei gagliardetti che svettano sopra la folla come espressione di aggressività liberata.
Attraverso questi segni grafologici, che per lui erano linee-forza e dinamicità della forma, Carrà esprime la brusca contrapposizione delle pulsioni che generano confusione e conflitto.

"Pino sul mare" di Carrà
Prenderemo in esame un altro dipinto di questo artista che appartiene ad un periodo successivo e che manifesterà scelte formali completamente diverse da quelle precedenti.
Il dipinto ‘Pino sul mare’ (olio su tela, collezione Casella, Roma, 1921) appartiene al periodo del ‘realismo magico’.

Carrà, finita la prima guerra mondiale, abbandona il futurismo per aderire prima alla metafisica e per approdare poi a una sua personale ricerca pittorica che rientra comunque in quello che viene normalmente chiamato ‘ritorno all’ordine’. Questa tendenza vede gran parte degli artisti orientarsi verso l’abbandono delle provocazioni avanguardiste per ricercare valori più solidi e costruttivi. In Italia questo coincide con un recupero della tradizione trecentesca e quattrocentesca di Giotto, Piero della Francesca, Paolo Uccello.
In questo dipinto è raffigurata una natura semplice, composta da pochi elementi, una realtà ‘primitiva’, nel senso che in arte si è dato a questo termine: come visione ingenua e semplice, non contaminata dall’orgoglio intellettuale del rinascimento maturo.
I segni e le forme caratterizzanti questo dipinto sono parca, perché gli oggetti sono espressi nella loro essenzialità, la forma è estremamente contenuta e ridotta. Si noti, per esempio, lo sviluppo della chioma dell’albero e il ramo spoglio mozzato, rappresentano la contenutezza dei sentimenti semplici, essenziali. Largo tra parole, considerando parole gli oggetti definiti nella loro identità di casa, albero, cavalletto. La loro distanza è una forma di isolamento che ci parla però più del silenzio delle cose che di isolamento umano. Calma per il ritmo posato, per la regolarità e l’equilibrio, per la mancanza di qualsiasi segno di iperemotività. Chiara per il desiderio di vedere con precisione le forme che nella loro esatta definizione comunicano stabilità e fermezza.
E’ questa stabilità, e la semplicità dei valori tradizionali, il protagonismo delle semplici cose che ci circondano che Carrà ci comunica con quest’opera.


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