lunedì 23 maggio 2016

IL TAO



Il simbolo dello Yin e Yang è conosciuto in tutto il mondo. Rappresenta l’equilibrio tra forze opposte. Noi occidentali lo consideriamo come l’equilibrio tra bene e male, ma in Cina, patria dello Yin e Yang, la visione di questo simbolo è leggermente differente dalla nostra.

Lo Yin e Yang rappresentano la dualità, le forze opposte che si attraggono e si completano per dar origine alla realtà manifesta. Questo simbolo però non si limita a rappresentare la danza degli opposti. Basta osservarlo per capire subito il suo principale significato.

L'immagine è costituita da un cerchio diviso in due metà a forma di lacrima, uno bianco e l'altro nero ognuno con un "seme" appartenente alla sua controparte, ad indicare che dalla luce si origina il buio e viceversa.

In termini di cosmologia taoista, il cerchio rappresenta il Tao, l'Unità indifferenziata da cui tutta l'esistenza si compone. Le metà in bianco e nero all'interno del cerchio rappresentano Yin-Qi e Yang-qi, le energie maschili e femminili primordiali la cui interazione dà vita al mondo manifesto: per i Cinque Elementi e le diecimila cose.

Le curve e i cerchi di Yin- Yang implicano un movimento caleidoscopico, che rappresenta i modi in cui Yin e Yang derivano l'uno dall'altro, interdipendenti e in continua trasformazione, uno dentro l'altro, non possono esistere senza l'altro, perché ognuno contiene l'essenza dell'altro. La notte diventa giorno e il giorno diventa notte, la nascita diventa la morte e la morte diventa nascita (pensate al compostaggio).

Amici diventano nemici e nemici diventano amici. Tale è la natura, lo insegna il Taoismo, di tutto nel mondo è relativo infatti l'assioma e la legge enunciata da Einstein non fu sua invenzione perché già millenni prima sapienti lo avevano compreso.

Le metà in bianco e nero del simbolo Yin-Yang sono simili ai due lati di una moneta: sono diverse e distinte, ma uno non potrebbe esistere senza l'altro. Il cerchio in sé - che contiene queste due metà - è come il metallo (argento, oro o rame) della medaglia. E' quello che le due parti hanno in comune ciò che li rende "la stessa cosa nella differenziazione".



Lo yin, rappresentato dalla linea spezzata, rappresenta il principio femminile e lo yang, la linea intera è quello maschile; insieme simboleggiano tutti i contrari complementari dell’universo dualistico, dei poteri, delle qualità, della vita umana, animale e vegetale. Lo yin deve sempre precedere lo yang poiché simboleggia  l’oscurità primordiale prima della luce yang della creazione. Alla base del pensiero taoista c’è il principio degli opposti, dove ogni cosa ha un suo opposto, ma non necessariamente creando una situazione di conflitto, ma proprio perché senza un opposto nulla avrebbe significato; come la luce e il buio, la vita e la morte, ecc. Tutto fa parte dello stesso sistema. Se sparisse una delle due parti, non esisterebbe neanche l’altra. Lo yin e lo yang fanno parte del Tao.
Lo yin è anche l’acqua primeva, la natura passiva, femminile, istintiva e intuitiva, l’anima, la profondità, la contrazione, il negativo, il morbido e flessibile; è simboleggiato da tutto quanto è oscuro e appartiene al principio umido, come il colore nero, la terra, gli alberi, gli animali notturni e le creature che vivono nell’acqua o nei luoghi umidi e della maggior parte dei fiori.
Lo yang è il principio attivo, lo spirito, il razionalismo, l’altezza, l’espansione, il positivo, il duro e rigido, ed è raffigurato da tutto quanto è chiaro, il bianco, asciutto e alto, come le montagne, il cielo, tutti gli animali solari e gli uccelli. Gli animali favolosi, il drago, la fenice e il K’i-lin, sono tutti in grado di personificare entrambe le qualità di yin e yang e denotano la perfetta interazione dei due poteri o “essenze” nell’unità; ciò vale anche per il Loto fra i fiori.

Il simbolo yin-yang, Ta ki, rappresenta il perfetto equilibrio delle due grandi forze dell’universo, ciascuna racchiude in embrione l’altro potere, il che implica che non esiste alcuna natura esclusivamente maschile o femminile, ma che ciascuna contiene il germe dell’altra e vi è un continuo alternarsi. I due poteri sono contenuti entro il cerchio della rivoluzione e del dinamismo ciclico, della totalità. Insieme costituiscono l’Uovo Cosmico, l’Androgino primordiale, il compimento dell’equilibrio e dell’armonia, la pura essenza che non si identifica né con l’uno né con l’altro. Le due forze sono tenute insieme dalla tensione, non dall’antagonismo; reciprocamente interdipendenti, sono una cosa sola nell’essenza, ma separate nella manifestazione.

Rappresenta l’equilibrio primordiale. La lotta interiore che porta sempre alla stabilità; è il simbolo per eccellenza della natura. Rappresenta la ciclicità della vita e l’alternarsi delle stagioni.
Può trasformarsi in un simbolo di unione, è infatti un tatuaggio perfetto da condividere con la persona che si ama; è anche simbolo di purificazione e guarigione interiore. Sarà capace di indirizzarti sempre sulla giusta via.



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TATUAGGI DOPO LA MORTE



Nel giro di 48 dalla morte, il tatuaggio verrà rimosso chirurgicamente e poi verrà trattato con una soluzione di formaldeide e silicone, che mischiandosi offriranno una crema viscosa da mettere sul lembo di pelle, e che una volta seccata garantirà la conservazione perfetta del tatuaggio.

Si tratta di una procedura un tantino costosa (si parla del doppio, in media, del costo del tatuaggio stesso) ma che permetterà di lasciare nel testamento qualcosa di decisamente originale.



Sembra un ricordo piuttosto macabro da lasciare ai propri figli, ma stando a quanto dice Peter van der Helm, che è l’inventore della procedura, c’è già la fila fuori dal suo studio per acquistare il pacchetto imbalsamazione del tatuaggio.

Queste opere poi diventeranno proprietà della Fondazione e “prestate” alla famiglia del deceduto.

Perché dovresti voler conservare il tatuaggio tuo o di un tuo caro? Le ragioni sono tante: sul sito della Fondazione si citano il “valore sentimentale, la volontà di contribuire alla storia del tatuaggio, quella di voler preservare un'opera d'arte, oppure semplicemente quella di voler lasciare un pezzetto di te alla tua famiglia”.


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giovedì 19 maggio 2016

LA RASATURA DEI CAPELLI



L’acconciatura è da sempre uno dei modi principali di espressione personale. Fin dai tempi antichi, ogni foggia di capigliatura veicola dei significati più o meno espliciti.
Nel passato, ad esempio, portare i capelli sciolti era normalmente un segno di lutto, o di sottomissione. Eppure, in altri contesti come ad esempio quelli rituali, lasciare liberi i capelli costituiva un elemento fondamentale di certe danze sciamaniche, irruzione del sacro che selvaggiamente spazza via convenzioni e limitazioni sociali.
Se pensiamo alle donne, per le quali i capelli costituiscono una delle principali armi di seduzione, il fatto che essi fossero nascosti o esibiti, raccolti o sciolti, era frequentemente inteso come segno della disponibilità o delle riserve della femmina; su questa scia, si è arrivati in alcune culture a proibire alle donne sposate di mostrare i capelli (ad esempio in Russia, dove il proverbio recita “una ragazza si diverte solo finché ha il capo scoperto“), o a imporre di nasconderli all’entrata in Chiesa (occidente cristiano), per inibirne la funzione di provocazione sensuale.

I capelli sono associati a certi poteri – come la forza e la virilità, si pensi a Sansone – ma soprattutto al concetto di identità.

Nei secoli passati una chioma fluente era indizio di potenza e nobiltà. Così, il privilegio aristocratico di portare i capelli lunghi in Francia era appannaggio esclusivo di Re e Principi, mentre in Cina vigeva addirittura l’interdizione a certi pubblici uffici per chiunque portasse i capelli corti, che erano visti come una vera e propria mutilazione. E mutilazione definitiva, segno di sommo disprezzo, era per i nativi americani tagliare lo scalpo dei nemici in guerra. Parallelamente, in alcune civiltà vigeva il tabù del taglio di capelli per i neonati durante i primi anni di vita, per non rischiare che perdessero l’anima. Innumerevoli popoli fanno del primo taglio di capelli di un bambino un vero e proprio rito di passaggio, con tanto di feste e operazioni propiziatorie per allontanare gli spiriti malefici – dato che il piccolo, privato assieme ai capelli anche di una parte della sua forza vitale, è più esposto ai pericoli. È il caso degli indiani Hopi dell’Arizona, che procedevano al taglio soltanto collettivamente, una volta all’anno, durante i festeggiamenti per il solstizio d’inverno. Altrove, il taglio dei capelli è sospeso durante una guerra, o in conseguenza a un voto: gli Egizi non si radevano quando erano in viaggio, e in tempi più recenti i barbudos di Fidel Castro avevano giurato di non toccare né barba né capelli fino a che Cuba non fosse liberata dalla tirannia.



Rasate erano le “streghe”, in segno di punizione prima del rogo (perché, nei capelli lunghi, c’era il male). Le monache, prima di entrare in convento. Le bambine povere, che vendevano i capelli per soldi. Poi, il ‘900. Il corto rasato diventa simbolo di tortura, dolore, sopruso, disperazione.
Nel 1944, dopo la liberazione della Francia, le donne Francesi colpevoli di aver cooperato, fatto amicizia o aiutato i Nazisti, sia in maniera volontaria o forzata, ricevettero una punizione che consisteva nella rasatura della testa in modo da rendere pubblico il loro “tradimento”.
Si presume che le vittime di questo atroce fenomeno di tipo sessista furono oltre 20000 ed agli orrendi spettacoli che si svolgevano in piazze pubbliche assistettero anche i bambini.

Ecco dunque perché il taglio forzato dei capelli del nemico è una punizione terribile fin dall’antichità, utilizzata talvolta come pena ancora più bruciante della morte. Ogni minimo aspetto della realtà, per l’uomo, si riveste sempre di significati profondi, e anche oggi una semplice cattiveria fra ragazzi che potrebbe sembrare tutto sommato innocua (i capelli comunque ricresceranno in breve tempo) indigna particolarmente l’opinione pubblica; forse perché vi si può riconoscere, fatte le dovute proporzioni, l’eco di riti e pratiche crudeli di ancestrale portata simbolica.


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martedì 17 maggio 2016

LE LAMPADE ABBRONZANTI




Con lo sviluppo delle lampade UV, a partire dagli anni ’70, alcune aziende hanno sfruttato questa tecnologia per immettere sul mercato i primi macchinari abbronzanti, finalizzati ad uso estetico e non più solo medico.
I primi “lettini” solari dunque, chiamati così poiché l’utilizzatore finale si ci sdraiava dentro, fecero il loro ingresso integrati come trattamento negli istituti di bellezza.
Negli anni ’80 ci fu una ulteriore diffusione e si cominciò a parlare molto delle cosiddette lampade UVA, chiamate così per la totale assenza di UVB nel loro spettro.
Ma è a partire dagli anni ’90 che si ha un vero e proprio boom della abbronzatura artificiale: con il miglioramento della tecnologia delle lampade UVA che cominciano ad emettere anche una contenuta percentuale di raggi UVB, allungando la durata della abbronzatura e migliorando la risposta della pelle, l’abbronzatura diventa sempre più una moda. Cominciano anche ad aprire i primi centri dedicati esclusivamente all’abbronzatura artificiale, con decine di macchine e prezzi sempre più bassi, all’attacco di fasce di popolazione giovane per la quale è importante l’aspetto fisico e che prima non potevano permettersi costose sedute in centri benessere. C’è una diffusione capillare dei solarium soprattutto nelle grandi città distanti dal mare (Milano su tutte) dove le persone con poco tempo possono abbronzarsi anche nelle pause pranzo. Vengono anche immesse sul mercato le prime “docce” solari, ovvero macchine abbronzanti che si fanno in piedi, favorite dai tempi di esposizione sempre più brevi, che permettono maggiore igiene e tempi di utilizzo più breve. Queste ultime rafforzano l’abbronzatura “express” ovvero l’abbronzatura veloce e poco costosa, l’abbronzatura di massa.
Dal 2000 in poi l’abbronzatura con lampade abbronzanti, diventata conosciuta e praticata, si è arricchita di servizi aggiuntivi, raffinandosi e diventando una parte integrante del costume dei paesi industrializzati.

Esistono lampade dette a “bassa pressione” e lampade ad “Alta pressione”.
Entrambe sono “lampade a scarica” in cui un gas viene eccitato ed emette fotoni. La differenza sostanziale sta nella pressione del gas utilizzato.

La tecnologia alla base della bassa pressione è immediatamente distinguibile per l’utilizzo dei tubi.
All’interno di questi troviamo il gas neon ad un pressione nell’ordine di pochi Pascal, mercurio e un fosforo. Le caratteristiche generiche delle lampade a bassa pressione sono:

Temperatura del gas all’interno del tubo di scarica relativamente bassa
Radiazione emessa quasi interamente nel campo del visibile e dell’ultravioletto con scarsa emissione nell’infrarosso.
Diagramma spettrale a righe con piccole quantità di energia irradiata al di fuori delle righe spettrali (emissione fortemente caratterizzata dal punto di vista cromatico)
Basso flusso luminoso emesso per unità di lunghezza del tubo di scarica.

Nelle lampade a fluorescenza gli atomi di mercurio eccitati emettono una radiazione UV che investe il fosforo di radiazioni causando la sua fluorescenza e la luce visibile. Per questo vengono chiamate anche lampade a fluorescenza. Parte della luce viene riflessa da uno strato di ossidi metallici posto sulla parte posteriore del tubo.
Ovviamente la quantità di fosfori (sostanze fluorescenti) presenti nelle lampade da illuminazione è molto più elevata che nelle lampade usate per l’abbronzatura nelle quali una buona parte della radiazione UV emessa dal mercurio viene emessa dal tubo e modulata solo in piccola parte dai fosfori.

Normalmente Il circuito è formato da un alimentatore (elettromagnetico), detto anche reattore, uno starter e il tubo ai cui estremi troviamo gli elettrodi.

La radiazione emessa dalle lampade a bassa pressione per l’abbronzatura ha un spettro con una buona presenza di raggi UVB, soprattutto rispetto all’altra tecnologia ad alta pressione. 
La tecnologia a bassa pressione è quindi più aggressiva sulla pelle e provoca più facilmente eritemi solari.

La tecnologia ad alta pressione è quella che fa uso di bulbi per emettere la luce. I bulbi ad alta pressione contengono vapori al neon e mercurio, oltre che alogenuri metallici (sodio, tallio e iodio).
Anche in questo caso la luce è emessa dalla ionizzazione del mercurio avviata da due elettrodi. Gli alogenuri metallici mantengono continuo lo spettro di emissione con un sensibile aumento dell’efficienza luminosa.

L’impulso deve essere dato anche in questo caso da un componente separato, l’accenditore. Come nel caso dello starter, l’accenditore provvede a fornire alla lampadina un voltaggio molto elevato che avvia il processo di ionizzazione.
A differenza delle lampade a bassa pressione, le lampadine ad alogenuri metallici emettono luce anche nello spettro degli UVC. Questo comporta l’utilizzo di particolari filtri per la luce, che evitano le radiazioni nocive all’utilizzatore finale della lampada abbronzante. 

La lampada ad alta pressione inoltre lavora a temperature molto più elevate dei tubi a bassa pressione. Passiamo infatti dai 40-50 C° di questi ultimi, agli oltre 600 della prima. Questo comporta l’inclusione nella macchina di un sistema di raffreddamento esclusivo per il complesso lampadina filtro (se raggiungesse temperature troppo elevate quest’ultimo si potrebbe spaccare). E’ ovvio che i costi totali di una macchina di questo tipo sono molto più elevati. In compenso lo spettro emesso ha una percentuale molto più elevata di UVA e consente un controllo molto mirato attraverso l’uso dei filtri.

Il decreto ministeriale 12 maggio 2011, n° 110, ha provveduto ad aggiornare la normativa italiana riguardante le lampade abbronzanti, vietando la sottoposizione a questo trattamento a: soggetti con patologie dermatologiche che possono essere aggravate dall’esposizione UV, minori di 18 anni, donne incinte, soggetti che soffrono o hanno sofferto di neoplasie della cute, soggetti con fototipo I e II che si scottano facilmente. Si tratta di un decreto rivolto a operatrici e operatori che lavorano nei centri estetici, un richiamo alla sicurezza, passando dall’informazione e dalla consapevolezza dei rischi connessi all’esposizione indiscriminata alle radiazioni UV. L’effetto acuto più conosciuto dell’eccessiva esposizione ai raggi UV è l’eritema, il tipico arrossamento della pelle, denominato anche scottatura. La sintesi di melanina stimolata dai raggi UV produce, nella maggior parte delle persone, l’abbronzatura della pelle, che avviene entro pochi giorni dall’esposizione. Un altro effetto di adattamento meno evidente è l’ispessimento degli strati superficiali della pelle, che attenua la penetrazione dei raggi UV negli strati più profondi. Entrambe le risposte sono un segno evidente di danno alla pelle. Le lampade abbronzanti possono provocare tumori alla pelle non melanocitici, che comprendono: il carcinoma basocellulare o basalioma e il carcinoma squamoso o spinocellulare.



Si tratta di tumori raramente letali, ma il trattamento chirurgico può risultare deturpante. Il carcinoma della pelle si manifesta più frequentemente sulle parti del corpo solitamente esposte al sole (orecchie, viso, collo e avambracci) e il principale fattore causale è l’esposizione, ripetuta e di lungo periodo, alla radiazione UV. Il melanoma maligno, invece, seppur meno diffuso del carcinoma, è la causa più frequente di morte per cancro della pelle. E’ più comune tra le persone con carnagione e occhi chiari e capelli rossi o biondi. Nell’occhio, gli effetti dell’esposizione acuta alle radiazioni UV comprendono la fotocheratite e la fotocongiuntivite; reazioni infiammatorie che normalmente appaiono poche ore dopo l’esposizione, sono analoghe all’eritema, ma si manifestano sui tessuti epiteliali molto sensibili (es. quelli del bulbo oculare e delle palpebre). L’esposizione al sole, in particolare alle radiazioni UVB , sembra essere il principale fattore di rischio per lo sviluppo della cataratta.

E’ stato dimostrato anche che l’abbronzatura artificiale, soggettivamente e socialmente apprezzata, tende a dare assuefazione, spingendo a eccedere nel desiderio di un colorito sempre più accentuato. La protezione è pertanto indispensabile, attraverso filtri solari, in funzione del proprio fototipo, delle caratteristiche di maggiore o minore secchezza cutanea e dell’età. I tempi e l’intensità delle sedute abbronzanti devono essere pianificati con attenzione e ridotti il più possibile, mentre prima di ogni seduta è necessario applicare antisolari con filtri UVA + UVB con Skin protection factor elevato, almeno 30-50, anche se si ha un fototipo scuro. Se si ha una pelle tendenzialmente grassa o acneica, vanno utilizzate formulazioni antisolari molto idratanti, mentre se la cute è già in partenza normale-secca o l’età è avanzata, bisogna orientarsi verso formulazioni antisolari più consistenti e ricche di composti lipidici. Subito dopo l’esposizione, invece, è necessario applicare creme e fluidi idratanti ed emollienti che aiutano a mantenere la pelle elastica, riducendone lo sfaldamento e favorendo una ricostituzione rapida del microfilm idrolipidico, capace di proteggerla dagli agenti esterni.

I raggi UV non sono tutti uguali. Si caratterizzano infatti per le diverse lunghezza d’onda. I raggi UV si suddividono in tre categorie denominati UVA, UVB ed UVC:
UVA: Sono i raggi ultravioletti caratterizzati dalla lunghezza d’onda più alta (400-315 nm (nanometri)). Questi raggi hanno una elevata capacità di penetrazione del derma ma scarsa energia (sembra un controsenso ma è così). Il loro potere abbronzante è molto alto ma, grazie alla loro bassa energia, è molto difficile scottarsi con essi.
I raggi UVB hanno lunghezza d’onda intermedia (315-280 nm). Hanno una media penetrazione nel derma e media energia. Questi raggi sono più aggressivi rispetto ai raggi UVA e tendono a provocare più facilmente eritemi e danni alla pelle
UVC: Sono i raggi con la lunghezza d’onda più corta (280-10 nm). Questi raggi non penetrano nel derma ma rimangono a livello superficiale nonostante la loro energia sia molto elevata. Non abbronzano ma bruciano soltanto. 

Si sono inoltre riscontrati altri effetti collegati all’esposizione dei raggi ultravioletti ovvero un miglioramento generale del tono dell’umore a causa di una diminuzione della melatonina a favore della serotonina e un riequilibramento dei ritmi circadiani. In particolare in presenza di Jet-Lag. Ovviamente la cosa si ritorce contro in caso di esposizione ai raggi UV prima di dormire (rischio d’insonnia).

I raggi UV inoltre vengono spesso utilizzati nelle prevenzione verso alcune malattie.
L’osteoporosi per esempio ha come fattore aggravante le poche ore passate alla luce del sole. Questa malattia, che consiste in un’abbassamento costante della massa ossea e della microarchitettura di questa, provoca un aumento del rischio di frattura. Nella terapia curativa vengono usate anche lampade abbronzanti per l’integrazione dei raggi UV.

Altra malattia cronica è la psoriasi, grave infiammazione della pelle le cui cause sono ancora sconosciute. E’ una malattia, che, seppur non rappresenti rischi per la salute e non sia infettiva, crea gravi disagi a chi ne è affetto. La psoriasi infatti causa arrossamenti della pelle e prurito nella prima fase, mentre quando si aggrava, porta addirittura alla desquamazione della pelle, con conseguente trauma psicologico per chi la vive. Oltre al trattamento farmacologico anche qui viene utilizzata la cosiddetta “PUVA” terapia, ovvero l’utilizzo di lampade UVA il cui effetto viene potenziato da farmaci foto sensibilizzanti (denominati psoraleni da P-UVA). Esistono anche nuove terapie che fanno uso esclusivamente dei raggi UVB “a banda stretta” ovvero UVB con frequenza d’onda pari a 311 nm. Gli UVB infatti si rivelano molto più efficaci degli UVA nel trattamento della psoriasi (per raggiungere gli stessi effetti si deve ricorrere talvolta a quantità di 1000 volte superiori di raggi UVA) ma hanno la controindicazione di causare più facilmente eritemi. L’azione di questi quindi deve essere bilanciata fra azione curativa ed azione erimatogena.

Malattia legata alla assenza di melanina è la vitiligine. Questa malattia si presenta con chiazze chiare distribuite su tutto il corpo. Infatti in queste zone non viene prodotta melanina nonostante la presenza e l’attività metabolica dei melanociti. Si può rozzamente considerare come un albinismo a chiazze. Le cause precise di questa malattia sono ancora sconosciute ma si presume abbia un’origine autoimmune. Ovviamente non è contagiosa ma la contrazione di questa malattia può portare ad isolamento volontario a causa del trauma psicologico di cui è responsabile (proprio come la psoriasi). Come per la psoriasi sopra illustrata l’unica cura è (insieme a farmaci immunomodulanti) una terapia a base di raggi UVB a banda stretta.

Tra le malattie che vengono curate tramite raggi ultravioletti troviamo anche il rachitismo, una forma di deformità ossea. Questa malattia rimane in realtà strettamente legata alla mancanza di vitamina D. Nell’organismo umano questa vitamina è prodotta perlopiù dalla cute (il 90% circa) mentre attraverso la dieta se ne assume in quantità troppo piccole. In assenza di tale vitamina non è possibile l’assimilazione del calcio da parte delle ossa. Da ciò deriva la malformazione ossea (osservata soprattutto in soggetti di età molto giovane) che si presenta in chi non si espone in nessun modo ai raggi solari. La cura per questa malattia è l’assunzione di vitamina D per via orale, l’esposizione a lampade agli ultravioletti o la semplice esposizione al Sole. 
Nota curiosa è che, in Siberia, dove gli inverni sono lunghi e l’esposizione al Sole molto ridotta, il governo ha previsto, sin dagli anni ’80, periodiche esposizioni a lampade UV per i bambini al fine di ridurre l’incidenza del rachitismo. Da ricordare inoltre che Giacomo Leopardi era affetto da rachitismo.

Fra i diversi sistemi che si usano per determinare gli effetti della radiazione solare sulla pelle, si usa il MED, ovvero la Minima Dose Erimatogena. La MED è misurata su una scala numerica che va da 0 ad infinito e nella quale la dose minima di raggi UV con i quali si ha un arrossamento è fissata a 1. E’ quindi una scala che varia da persona a persona: per un fototipo 2 la MED è molto bassa, mentre si alza enormemente per un fototipo 4 o 5. Solitamente si tende a considerare che fino a 1 MED non esistono effetti collaterali all’esposizione agli UV, mentre oltre si comincia a verificare, oltre all’arrossamento, anche l’invecchiamento cutaneo, il danneggiamento degli occhi se non adeguatamente protetti e le possibili reazioni foto allergiche o fototossiche. Ma come si ci può proteggere? La soluzione sta nei filtri solari. Queste particolari creme infatti creano uno strato protettivo che consente di stare al sole senza danni.

Molti si convincono che chi si abbronza prima delle vacanze con i raggi UVA delle lampade riesce a evitare il rischio di ustione. Va ricordato però che questo tipo di radiazione è meno efficace nel produrre l'arrossamento della pelle e nel favorire l'abbronzatura. E che la pigmentazione ottenuta con le lampade UV-A non fornisce alla pelle lo stesso grado di fotoprotezione di quella ottenuta con la radiazione UV-B. La radiazione UVA infatti non fa aumentare lo spessore della pelle e quindi viene meno il fattore di protezione naturale. “Pertanto – continua l’esperta dell’Idi – è meglio prepararsi all’estate assumendo betacarotene per via orale, così si ottiene una maggiore concentrazione di melanina.

Il rischio per gli occhi non protetti da occhiali adeguati è molto elevato. Molti per evitare l’effetto Panda pensano che sia sufficiente chiudere le palpebre. “Sulla congiuntiva e la cornea la radiazione UV però – sostengono gli esperti dell’Iss – può produrre irritazione e infiammazione (fotocheratocongiuntivite), fenomeni acuti molto fastidiosi, come la sensazione di sabbia negli occhi, che di solito regrediscono dopo qualche giorno. Il danno al cristallino e alla retina è invece più subdolo, poiché non si manifesta con reazioni acute”.



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ABBRONZATURA PERFETTA



Il rituale dell’abbronzatura ed il risultato finale, non dipendono esclusivamente dalla nostra pelle, ci sono dei fattori che aiutano ed influenzano la tintarella.
Circa due mesi prima di prendere il sole, non è una cattiva idea assumere degli integratori al betacarotene per preparare la pelle all’esposizione solare. Vi accorgerete della differenza: vi abbronzerete più facilmente e sarete meno esposti agli eritemi solari.

Ci sono ancora persone convinte che le lozioni solari ostacolino l’abbronzatura perfetta, in realtà senza la lozione solare non solo non ci si abbronza meglio ma si rischiano ustioni e melanomi. Il solare, scelto in base al fototipo di pelle, è indispensabile per proteggere la pelle dai dannosi raggi UVA ed UVB che sono la causa dell’insorgenza di tumori della pelle e dell’invecchiamento precoce.

Sotto il sole bisogna sempre proteggersi, sia che si abbia una carnagione chiara sia che la carnagione sia scura o la pelle già abbronzata. La scelta del protettivo solare deve essere fatta in base al proprio fototipo, il momento della giornata in cui ci si espone, la zona (es. montagna, tropici, mediterraneo, ecc.) e l'eventuale presenza di superfici riflettenti (es. neve, sabbia, mare, ecc.). Il solare andrà scelto in base al fattore di protezione, un numero che dà un'indicazione su quanto tempo è possibile stare al sole applicando quel prodotto prima che la pelle si scotti: nella scelta il farmacista può essere di valido aiuto. Il protettivo andrà applicato almeno mezz'ora prima di esporsi al sole per consentire ai principi attivi di passare attraverso lo strato superficiale della pelle. L'applicazione andrà inoltre rinnovata nel corso della giornata: infatti la sudorazione, lo sfregamento con i teli da spiaggia, i bagni e le docce frequenti, o una disomogenea applicazione riducono la capacità protettiva del prodotto. L'applicazione costante di un protettivo solare garantisce inoltre una maggiore idratazione degli strati più superficiali dell'epidermide, contribuendo a preservare l'abbronzatura più a lungo.

Le linee di prodotti solari propongono diversi prodotti, crema, olio, latte, gel, spray, acqua solare. In generale, le creme e i gel sono indicati per il viso o per parti del corpo non estese (es. spalle e decolleté), mentre le altre formulazioni sono indicate per tutto il corpo. Gli oli solari, che normalmente hanno fattore di protezione basso, conferiscono lucentezza alla pelle, il che facilita la penetrazione delle radiazioni, ma non sono consigliabili nel caso di carnagioni chiare. Infine, meglio optare per prodotti resistenti all'acqua, in grado di mantenere la loro efficacia anche dopo 40 minuti di immersione nell'acqua. Questi prodotti hanno una migliore persistenza sulla pelle e sono indicati soprattutto se si suda molto o si fanno bagni frequenti.

Gli autoabbronzanti risultano essere un buon alleato per gli appassionati della tintarella: consentono infatti di ottenere una buona pigmentazione cutanea, seppur destinata a scomparire nell'arco di 2 o 3 giorni, in poche ore e in assenza di sole. Ottimi dunque per i primi giorni, quando ancora la pelle non è abbronzata, in quanto consentono di esibire una bel colore dorato, ma anche una volta rientrati in città, per conservarlo più a lungo. Attenzione: gli autoabbronzanti non conferiscono alcuna protezione nei confronti delle radiazioni ultraviolette.
E infine il doposole: dopo l'esposizione la pelle deve essere idratata perché si mantenga elastica. Una crema idratante o un prodotto doposole (che contiene sostanze rinfrescanti e lenitive) assolvono questo compito, tenendo tuttavia presente che la pelle si rinnova continuamente, eliminando gli strati superficiali, per cui l'abbronzatura è destinata prima o poi a scomparire.




Non bisogna esporsi al sole per ore di fila, soprattutto non il primo giorno, ma gradualmente e soprattutto non è necessario girarsi ogni cinque minuti ma è meglio ogni venti per avere un’abbronzatura omogenea. Attenzione all’acqua, riflette maggiormente il sole e dunque ci si abbronza più velocemente ma ci si scotta anche più facilmente. Attenzione anche al cielo nuvoloso sembra difficile scottarsi ma in realtà i raggi arrivano ugualmente. Evitare di esporsi al sole fra le 11 e le 15 sono gli orari critici.

Idratare la pelle è fondamentale per evitare che questa si secchi, compaiano desquamazioni e addio abbronzatura perfetta. Per questo è importante bere molta acqua ed usare creme idratanti, sono ottimi l’olio di argan ed il burro di karitè.

Preparare la pelle all’abbronzatura è necessario anche praticare l’esfoliazione per togliere la pelle morta, quindi uno scrub naturale dopo la doccia è perfetto.

Il tè verde aiuta tantissimo la pelle ed ha effetti antiage, la tisana al mirtillo e anche la tisana alla calendula hanno un effetto benefico sulla pelle ed aiutano ad abbronzarsi di più.

Ovviamente i centrifugati di carote, barbabietole, mele, frutti di bosco, pesche, meloni ed albicocche sono il top per ottenere e mantenere un’abbronzatura da favola.

E’ molto importante anche l’olio d’oliva che contiene vitamine come la B e la E. Oltre queste vitamine sono importanti: la vitamina C, la A e naturalmente non bisogna dimenticare il selenio e lo zinco che si trovano nelle patate e nei frutti di mare.
I pomodori sono ricchi di Licopene mentre la frutta e la verdura rosse e gialle sono ricche di vitamina C e betacarotene, le verdure a foglia verde son ricche di vitamina C ed acido folico, la carne del salmone è ricca di Astaxantina che protegge la pelle, la frutta secca contiene vitamina E.

I vegetali e gli ortaggi è preferibile consumarli crudi mentre con la frutta, ed alcuni ortaggi, si possono ottenere degli ottimi centrifugati o frullati.




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giovedì 5 maggio 2016

LE DONNE GIRAFFA



I Kayan sono una etnia della popolazione Karenni, una minoranza di lingua tibeto-birmana. Sono anche chiamati Padaung. Nel 1990 a causa di un conflitto con il regime militare birmano, molte tribù si sono rifugiate in Thailandia. Esse vivono adesso con uno status legale incerto nei villaggi di confine, vivendo soprattutto con il turismo dovuto al tipico costume delle donne Kayan: gli anelli da collo.

Si stima la popolazione kayana in 7000 membri.

In Italia sono conosciute come donne giraffa, dovuto alle modifiche fisiche provocate da una spirale di ottone portata fin dall'infanzia, dall'età di cinque anni; la scelta di portare la spirale è completamente volontaria e viene richiesta dalle bambine alle proprie madri. Successivamente la spirale viene sostituita con altre di dimensioni sempre maggiori fino a che la pressione non provoca uno slittamento della clavicola e una compressione della gabbia toracica.



Diversamente da quanto ritenuto, il collo non è allungato, ma sono invece le spalle che scendono: l'illusione è creata solo dalla deformazione della clavicola. Le donne adulte possono indossare fino a 25 anelli. Alcune di loro oltre al collo li portano anche alle gambe. Un altro soprannome che viene loro attribuito è: "donne cigno".




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lunedì 2 maggio 2016

LA BIGOREXIA



In campo medico, per anoressia riversa, dismorfia muscolare, vigoressia o bigoressia, si intende un disturbo dell'alimentazione differente dall'anoressia nervosa; infatti, l'immagine finale della persona disfunzionale è opposta a quella del soggetto affetto da anoressia. Caratteristica peculiare di tale disturbo è la continua e ossessiva preoccupazione per quanto riguarda la propria massa muscolare, anche a discapito della propria salute.

L'ossessione non trova mai realizzazione, non importano i risultati ottenuti perché, in ogni caso, per la persona appariranno sempre inferiori a quanto voleva ottenere; il soggetto dedica la maggior parte del tempo a soddisfare questo suo desiderio, non dando importanza al resto della propria vita; può arrivare a fare uso di farmaci che aumentano la tonicità muscolare, che possono rivelarsi tossici per l'organismo. A causa di tali sollecitazioni innaturali, il soggetto corre maggiori rischi di complicanze fisiche.

I soggetti affetti da Anoressia riversa sono soliti commettere più di una tra queste azioni:

Osservarsi costantemente e ossessivamente allo specchio
Paragonare di sovente il proprio fisico con quello di altri
Provare stress se saltano una sessione d'allenamento in palestra o uno dei loro numerosi pasti
Domandarsi costantemente se hanno assunto abbastanza proteine ogni giorno
Assumere anabolizzanti potenzialmente pericolosi
Trascurare il lavoro, gli studi, la famiglia, e le relazioni sociali pensando solo ad allenarsi
Avere il presentimento di avere una muscolatura debole o sotto la media nonostante tutti i propri sforzi
Per venire diagnosticato con tale sindrome, il soggetto in esame deve mostrare i sintomi delineati per tipo e categoria dal Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders per il disordine dell'Anoressia Riversa, e non semplicemente apparire come eccessivamente interessato al culturismo o predisposto a comportamenti che altri definirebbero esagerati. L'Anoressia Riversa sta diventando sempre più comune per via delle pressioni socio-culturali sul fisico maschile, che possono indurre complessi di inferiorità soprattutto nei giovani.

L'Anoressia riversa è infatti particolarmente diffusa nei maschi, e solitamente appare sul finire dell'adolescenza o all'inizio dell'età adulta. I soggetti predisposti di solito sono già considerati dagli altri come dotati di un buon fisico, e spesso il disturbo è accompagnato da depressione.

Le cause sono essenzialmente di origine sociologica, in quanto i mass-media e la cultura di massa diffondono un'immagine pubblica degli uomini (così come per le donne) che, fisiologicamente parlando, è irreale e soprattutto artificiosa. Le persone possono così essere indotte a copiare questi modelli a costo della propria salute. Questo comportamento evolve spesso in un disturbo ossessivo-compulsivo appartenente alla categoria delle dismorfofobie.

Secondo una recente indagine, il numero di soggetti affetti da vigoressia in Italia sarebbe nell'ordine di 60.000 casi. Il medesimo studio ha consentito di verificare come la classe di età maggiormente colpita da tale disordine clinico, non sia più soltanto quella tipica della tarda adolescenza, ma sia perfino maggiore negli individui di sesso maschile di età compresa tra i 25 e i 35 anni, e al contempo si presentano con sempre maggiore frequenza casi di vigoressia anche tra persone adulte, spesso over 40, affascinate dall'idea di poter tornare nuovamente giovani in quanto possono esibire un fisico scultoreo. Situazione analoga a quanto già riscontrato in passato per altre discipline sportive, la cui pratica ossessiva venne definita come Sindrome di Highlander.



A soffrirne della Sindrome di Highlander sono diversi over 40 che conservano una spiccata tendenza di  competizione, autostima e sensazione di benessere. Colpisce più facilmente gli atleti che continuano l'attività dopo l'agonismo giovanile, o che - interrotta la pratica sportiva - la riprendono in età avanzata, oppure sedentari che pretendono di diventare atleti in età matura o avanzata. 
Negli individui colpiti da questa sindrome si creano sia la convinzione che l'esercizio fisico possa preservare da qualsiasi stato patologico, sia la tendenza a minimizzare sintomi e fattori di rischio pregressi o attuali. In pratica è l'eccesso di stima delle proprie capacità fisiche e mentali che porta a questa sindrome: spesso, infatti, i soggetti, siano essi sedentari o ex-atleti professionisti o semi-professionisti, tornano all'attività sportiva dopo un lungo periodo di inattività o di attività fisica saltuaria, spinti dal forte desiderio di tornare ad una miglior performance fisica o di eguagliare le prestazioni sportive espresse in età giovanile. 
Il fisico di un over 40 non può essere paragonato a quello di un ventenne o trentenne: per quanto in forma il primo non potrà mai competere con il secondo. Il consiglio degli scienziati, rivolto agli highlander, è dunque quello di lasciar perdere innanzitutto gli sport di “contatto” come il calcio ed il calcetto, e prediligere discipline individuali come il nuoto, la corsa e la bicicletta. In ogni caso, da evitare categoricamente sono gli scatti improvvisi. Simili sforzi, infatti, sono quasi sempre compiuti in condizioni di anaerobiosi, cioè senza consumo di ossigeno, e possono provocare repentini innalzamenti di pressione e del numero dei battiti cardiaci, mettendo a repentaglio la salute del cuore e dei vasi sanguigni. Va poi tenuto presente che è sempre meglio iniziare uno sport gradualmente e mai di colpo. Allo stesso modo è indispensabile tener presente che dopo una certa età muscoli, tendini e articolazioni necessitano di un tempo maggiore di recupero. 
Troppo spesso gli atleti sono convinti, a torto, che l'esercizio fisico possa preservare da qualsiasi malattia, e hanno la tendenza a minimizzare sintomi e fattori di rischio di ogni genere.  
Il troppo, come in tutte le cose, guasta, e anche se l'“accanimento” forzato alla gioventù si rivela talora una tentazione irresistibile, credendo che lo sforzo fisico dia un'opportunità in più, bisogna innanzitutto essere consapevoli dei propri limiti.

Ci sono persone che fanno colazione con una dozzina di albumi d’uovo o che prestano un’attenzione ossessiva al cibo, o di coloro che frequentano la palestra in modo compulsivo, magari anche con più sedute al giorno o di ultra quarantenni convinti di poter ritornare giovani praticando attività fisica come fossero dei ragazzini.

Secondo L’Istituto di Medicina dello Sport (FMSI) di Torino queste persone rappresentano il 20 / 30% degli abituali frequentatori delle palestre italiane sono affette dalla sindrome di Highlander e di Adone, tra le patologie che cominciano con una passione per l' attività fisica e sfociano in una maniacale attenzione per il cibo, costringendo il corpo a consumare più di ciò che assimila. In Italia il problema è diffuso ma non ci sono ancora dati chiari. «Si stima che tra il 20 e il 30% di chi va regolarmente in palestra abbia un atteggiamento ossessivo nei confronti del proprio aspetto», spiega Gian Pasquale Ganzit, vicedirettore dell' Istituto di Medicina dello Sport FMSI di Torino. 



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domenica 1 maggio 2016

LA FOSSETTA SUL MENTO



La fossetta sul mento è una concavità sulla parte inferiore del mento derivante dalla particolare conformazione ossea sottostante. La fessura del mento segue quella nell'osso basso della mascella, risultato della fusione incompleta della metà destra e sinistra dell'osso o del muscolo mascellare durante lo sviluppo embrionale e fetale. In altri individui essa può svilupparsi nel tempo, spesso perché una metà della mascella è più lunga dell'altra, a causa della asimmetria facciale.

Questo era ritenuto un tratto mendeliano degli esseri umani, dove la dominanza di un gene causa una fessura del mento, mentre il genotipo recessivo si presenta senza alcuna fessura. Ad ogni modo, questo tratto è anche un esempio classico di variabile di penetranza. Con fattori ambientali o per epistasi è possibile che l'espressione fenotipica del genotipo attuale sia interessata.



Questa rara caratteristica struttura del viso attira l’attenzione.

Si pensava che queste persone sono di carattere molto forte e indomabile volontà, sempre ottengono il risultato desiderato e ripetutamente in grado di aumentare la propria condizione. Inoltre, ai titolari di fossette sul mento vengono attribuite qualità negative. Si pensava che queste persone sono diaboliche, molto furbe, eccentriche e pronte ad andare a misure estreme per ottenere il loro beneficio.


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