martedì 17 maggio 2016

LE LAMPADE ABBRONZANTI




Con lo sviluppo delle lampade UV, a partire dagli anni ’70, alcune aziende hanno sfruttato questa tecnologia per immettere sul mercato i primi macchinari abbronzanti, finalizzati ad uso estetico e non più solo medico.
I primi “lettini” solari dunque, chiamati così poiché l’utilizzatore finale si ci sdraiava dentro, fecero il loro ingresso integrati come trattamento negli istituti di bellezza.
Negli anni ’80 ci fu una ulteriore diffusione e si cominciò a parlare molto delle cosiddette lampade UVA, chiamate così per la totale assenza di UVB nel loro spettro.
Ma è a partire dagli anni ’90 che si ha un vero e proprio boom della abbronzatura artificiale: con il miglioramento della tecnologia delle lampade UVA che cominciano ad emettere anche una contenuta percentuale di raggi UVB, allungando la durata della abbronzatura e migliorando la risposta della pelle, l’abbronzatura diventa sempre più una moda. Cominciano anche ad aprire i primi centri dedicati esclusivamente all’abbronzatura artificiale, con decine di macchine e prezzi sempre più bassi, all’attacco di fasce di popolazione giovane per la quale è importante l’aspetto fisico e che prima non potevano permettersi costose sedute in centri benessere. C’è una diffusione capillare dei solarium soprattutto nelle grandi città distanti dal mare (Milano su tutte) dove le persone con poco tempo possono abbronzarsi anche nelle pause pranzo. Vengono anche immesse sul mercato le prime “docce” solari, ovvero macchine abbronzanti che si fanno in piedi, favorite dai tempi di esposizione sempre più brevi, che permettono maggiore igiene e tempi di utilizzo più breve. Queste ultime rafforzano l’abbronzatura “express” ovvero l’abbronzatura veloce e poco costosa, l’abbronzatura di massa.
Dal 2000 in poi l’abbronzatura con lampade abbronzanti, diventata conosciuta e praticata, si è arricchita di servizi aggiuntivi, raffinandosi e diventando una parte integrante del costume dei paesi industrializzati.

Esistono lampade dette a “bassa pressione” e lampade ad “Alta pressione”.
Entrambe sono “lampade a scarica” in cui un gas viene eccitato ed emette fotoni. La differenza sostanziale sta nella pressione del gas utilizzato.

La tecnologia alla base della bassa pressione è immediatamente distinguibile per l’utilizzo dei tubi.
All’interno di questi troviamo il gas neon ad un pressione nell’ordine di pochi Pascal, mercurio e un fosforo. Le caratteristiche generiche delle lampade a bassa pressione sono:

Temperatura del gas all’interno del tubo di scarica relativamente bassa
Radiazione emessa quasi interamente nel campo del visibile e dell’ultravioletto con scarsa emissione nell’infrarosso.
Diagramma spettrale a righe con piccole quantità di energia irradiata al di fuori delle righe spettrali (emissione fortemente caratterizzata dal punto di vista cromatico)
Basso flusso luminoso emesso per unità di lunghezza del tubo di scarica.

Nelle lampade a fluorescenza gli atomi di mercurio eccitati emettono una radiazione UV che investe il fosforo di radiazioni causando la sua fluorescenza e la luce visibile. Per questo vengono chiamate anche lampade a fluorescenza. Parte della luce viene riflessa da uno strato di ossidi metallici posto sulla parte posteriore del tubo.
Ovviamente la quantità di fosfori (sostanze fluorescenti) presenti nelle lampade da illuminazione è molto più elevata che nelle lampade usate per l’abbronzatura nelle quali una buona parte della radiazione UV emessa dal mercurio viene emessa dal tubo e modulata solo in piccola parte dai fosfori.

Normalmente Il circuito è formato da un alimentatore (elettromagnetico), detto anche reattore, uno starter e il tubo ai cui estremi troviamo gli elettrodi.

La radiazione emessa dalle lampade a bassa pressione per l’abbronzatura ha un spettro con una buona presenza di raggi UVB, soprattutto rispetto all’altra tecnologia ad alta pressione. 
La tecnologia a bassa pressione è quindi più aggressiva sulla pelle e provoca più facilmente eritemi solari.

La tecnologia ad alta pressione è quella che fa uso di bulbi per emettere la luce. I bulbi ad alta pressione contengono vapori al neon e mercurio, oltre che alogenuri metallici (sodio, tallio e iodio).
Anche in questo caso la luce è emessa dalla ionizzazione del mercurio avviata da due elettrodi. Gli alogenuri metallici mantengono continuo lo spettro di emissione con un sensibile aumento dell’efficienza luminosa.

L’impulso deve essere dato anche in questo caso da un componente separato, l’accenditore. Come nel caso dello starter, l’accenditore provvede a fornire alla lampadina un voltaggio molto elevato che avvia il processo di ionizzazione.
A differenza delle lampade a bassa pressione, le lampadine ad alogenuri metallici emettono luce anche nello spettro degli UVC. Questo comporta l’utilizzo di particolari filtri per la luce, che evitano le radiazioni nocive all’utilizzatore finale della lampada abbronzante. 

La lampada ad alta pressione inoltre lavora a temperature molto più elevate dei tubi a bassa pressione. Passiamo infatti dai 40-50 C° di questi ultimi, agli oltre 600 della prima. Questo comporta l’inclusione nella macchina di un sistema di raffreddamento esclusivo per il complesso lampadina filtro (se raggiungesse temperature troppo elevate quest’ultimo si potrebbe spaccare). E’ ovvio che i costi totali di una macchina di questo tipo sono molto più elevati. In compenso lo spettro emesso ha una percentuale molto più elevata di UVA e consente un controllo molto mirato attraverso l’uso dei filtri.

Il decreto ministeriale 12 maggio 2011, n° 110, ha provveduto ad aggiornare la normativa italiana riguardante le lampade abbronzanti, vietando la sottoposizione a questo trattamento a: soggetti con patologie dermatologiche che possono essere aggravate dall’esposizione UV, minori di 18 anni, donne incinte, soggetti che soffrono o hanno sofferto di neoplasie della cute, soggetti con fototipo I e II che si scottano facilmente. Si tratta di un decreto rivolto a operatrici e operatori che lavorano nei centri estetici, un richiamo alla sicurezza, passando dall’informazione e dalla consapevolezza dei rischi connessi all’esposizione indiscriminata alle radiazioni UV. L’effetto acuto più conosciuto dell’eccessiva esposizione ai raggi UV è l’eritema, il tipico arrossamento della pelle, denominato anche scottatura. La sintesi di melanina stimolata dai raggi UV produce, nella maggior parte delle persone, l’abbronzatura della pelle, che avviene entro pochi giorni dall’esposizione. Un altro effetto di adattamento meno evidente è l’ispessimento degli strati superficiali della pelle, che attenua la penetrazione dei raggi UV negli strati più profondi. Entrambe le risposte sono un segno evidente di danno alla pelle. Le lampade abbronzanti possono provocare tumori alla pelle non melanocitici, che comprendono: il carcinoma basocellulare o basalioma e il carcinoma squamoso o spinocellulare.



Si tratta di tumori raramente letali, ma il trattamento chirurgico può risultare deturpante. Il carcinoma della pelle si manifesta più frequentemente sulle parti del corpo solitamente esposte al sole (orecchie, viso, collo e avambracci) e il principale fattore causale è l’esposizione, ripetuta e di lungo periodo, alla radiazione UV. Il melanoma maligno, invece, seppur meno diffuso del carcinoma, è la causa più frequente di morte per cancro della pelle. E’ più comune tra le persone con carnagione e occhi chiari e capelli rossi o biondi. Nell’occhio, gli effetti dell’esposizione acuta alle radiazioni UV comprendono la fotocheratite e la fotocongiuntivite; reazioni infiammatorie che normalmente appaiono poche ore dopo l’esposizione, sono analoghe all’eritema, ma si manifestano sui tessuti epiteliali molto sensibili (es. quelli del bulbo oculare e delle palpebre). L’esposizione al sole, in particolare alle radiazioni UVB , sembra essere il principale fattore di rischio per lo sviluppo della cataratta.

E’ stato dimostrato anche che l’abbronzatura artificiale, soggettivamente e socialmente apprezzata, tende a dare assuefazione, spingendo a eccedere nel desiderio di un colorito sempre più accentuato. La protezione è pertanto indispensabile, attraverso filtri solari, in funzione del proprio fototipo, delle caratteristiche di maggiore o minore secchezza cutanea e dell’età. I tempi e l’intensità delle sedute abbronzanti devono essere pianificati con attenzione e ridotti il più possibile, mentre prima di ogni seduta è necessario applicare antisolari con filtri UVA + UVB con Skin protection factor elevato, almeno 30-50, anche se si ha un fototipo scuro. Se si ha una pelle tendenzialmente grassa o acneica, vanno utilizzate formulazioni antisolari molto idratanti, mentre se la cute è già in partenza normale-secca o l’età è avanzata, bisogna orientarsi verso formulazioni antisolari più consistenti e ricche di composti lipidici. Subito dopo l’esposizione, invece, è necessario applicare creme e fluidi idratanti ed emollienti che aiutano a mantenere la pelle elastica, riducendone lo sfaldamento e favorendo una ricostituzione rapida del microfilm idrolipidico, capace di proteggerla dagli agenti esterni.

I raggi UV non sono tutti uguali. Si caratterizzano infatti per le diverse lunghezza d’onda. I raggi UV si suddividono in tre categorie denominati UVA, UVB ed UVC:
UVA: Sono i raggi ultravioletti caratterizzati dalla lunghezza d’onda più alta (400-315 nm (nanometri)). Questi raggi hanno una elevata capacità di penetrazione del derma ma scarsa energia (sembra un controsenso ma è così). Il loro potere abbronzante è molto alto ma, grazie alla loro bassa energia, è molto difficile scottarsi con essi.
I raggi UVB hanno lunghezza d’onda intermedia (315-280 nm). Hanno una media penetrazione nel derma e media energia. Questi raggi sono più aggressivi rispetto ai raggi UVA e tendono a provocare più facilmente eritemi e danni alla pelle
UVC: Sono i raggi con la lunghezza d’onda più corta (280-10 nm). Questi raggi non penetrano nel derma ma rimangono a livello superficiale nonostante la loro energia sia molto elevata. Non abbronzano ma bruciano soltanto. 

Si sono inoltre riscontrati altri effetti collegati all’esposizione dei raggi ultravioletti ovvero un miglioramento generale del tono dell’umore a causa di una diminuzione della melatonina a favore della serotonina e un riequilibramento dei ritmi circadiani. In particolare in presenza di Jet-Lag. Ovviamente la cosa si ritorce contro in caso di esposizione ai raggi UV prima di dormire (rischio d’insonnia).

I raggi UV inoltre vengono spesso utilizzati nelle prevenzione verso alcune malattie.
L’osteoporosi per esempio ha come fattore aggravante le poche ore passate alla luce del sole. Questa malattia, che consiste in un’abbassamento costante della massa ossea e della microarchitettura di questa, provoca un aumento del rischio di frattura. Nella terapia curativa vengono usate anche lampade abbronzanti per l’integrazione dei raggi UV.

Altra malattia cronica è la psoriasi, grave infiammazione della pelle le cui cause sono ancora sconosciute. E’ una malattia, che, seppur non rappresenti rischi per la salute e non sia infettiva, crea gravi disagi a chi ne è affetto. La psoriasi infatti causa arrossamenti della pelle e prurito nella prima fase, mentre quando si aggrava, porta addirittura alla desquamazione della pelle, con conseguente trauma psicologico per chi la vive. Oltre al trattamento farmacologico anche qui viene utilizzata la cosiddetta “PUVA” terapia, ovvero l’utilizzo di lampade UVA il cui effetto viene potenziato da farmaci foto sensibilizzanti (denominati psoraleni da P-UVA). Esistono anche nuove terapie che fanno uso esclusivamente dei raggi UVB “a banda stretta” ovvero UVB con frequenza d’onda pari a 311 nm. Gli UVB infatti si rivelano molto più efficaci degli UVA nel trattamento della psoriasi (per raggiungere gli stessi effetti si deve ricorrere talvolta a quantità di 1000 volte superiori di raggi UVA) ma hanno la controindicazione di causare più facilmente eritemi. L’azione di questi quindi deve essere bilanciata fra azione curativa ed azione erimatogena.

Malattia legata alla assenza di melanina è la vitiligine. Questa malattia si presenta con chiazze chiare distribuite su tutto il corpo. Infatti in queste zone non viene prodotta melanina nonostante la presenza e l’attività metabolica dei melanociti. Si può rozzamente considerare come un albinismo a chiazze. Le cause precise di questa malattia sono ancora sconosciute ma si presume abbia un’origine autoimmune. Ovviamente non è contagiosa ma la contrazione di questa malattia può portare ad isolamento volontario a causa del trauma psicologico di cui è responsabile (proprio come la psoriasi). Come per la psoriasi sopra illustrata l’unica cura è (insieme a farmaci immunomodulanti) una terapia a base di raggi UVB a banda stretta.

Tra le malattie che vengono curate tramite raggi ultravioletti troviamo anche il rachitismo, una forma di deformità ossea. Questa malattia rimane in realtà strettamente legata alla mancanza di vitamina D. Nell’organismo umano questa vitamina è prodotta perlopiù dalla cute (il 90% circa) mentre attraverso la dieta se ne assume in quantità troppo piccole. In assenza di tale vitamina non è possibile l’assimilazione del calcio da parte delle ossa. Da ciò deriva la malformazione ossea (osservata soprattutto in soggetti di età molto giovane) che si presenta in chi non si espone in nessun modo ai raggi solari. La cura per questa malattia è l’assunzione di vitamina D per via orale, l’esposizione a lampade agli ultravioletti o la semplice esposizione al Sole. 
Nota curiosa è che, in Siberia, dove gli inverni sono lunghi e l’esposizione al Sole molto ridotta, il governo ha previsto, sin dagli anni ’80, periodiche esposizioni a lampade UV per i bambini al fine di ridurre l’incidenza del rachitismo. Da ricordare inoltre che Giacomo Leopardi era affetto da rachitismo.

Fra i diversi sistemi che si usano per determinare gli effetti della radiazione solare sulla pelle, si usa il MED, ovvero la Minima Dose Erimatogena. La MED è misurata su una scala numerica che va da 0 ad infinito e nella quale la dose minima di raggi UV con i quali si ha un arrossamento è fissata a 1. E’ quindi una scala che varia da persona a persona: per un fototipo 2 la MED è molto bassa, mentre si alza enormemente per un fototipo 4 o 5. Solitamente si tende a considerare che fino a 1 MED non esistono effetti collaterali all’esposizione agli UV, mentre oltre si comincia a verificare, oltre all’arrossamento, anche l’invecchiamento cutaneo, il danneggiamento degli occhi se non adeguatamente protetti e le possibili reazioni foto allergiche o fototossiche. Ma come si ci può proteggere? La soluzione sta nei filtri solari. Queste particolari creme infatti creano uno strato protettivo che consente di stare al sole senza danni.

Molti si convincono che chi si abbronza prima delle vacanze con i raggi UVA delle lampade riesce a evitare il rischio di ustione. Va ricordato però che questo tipo di radiazione è meno efficace nel produrre l'arrossamento della pelle e nel favorire l'abbronzatura. E che la pigmentazione ottenuta con le lampade UV-A non fornisce alla pelle lo stesso grado di fotoprotezione di quella ottenuta con la radiazione UV-B. La radiazione UVA infatti non fa aumentare lo spessore della pelle e quindi viene meno il fattore di protezione naturale. “Pertanto – continua l’esperta dell’Idi – è meglio prepararsi all’estate assumendo betacarotene per via orale, così si ottiene una maggiore concentrazione di melanina.

Il rischio per gli occhi non protetti da occhiali adeguati è molto elevato. Molti per evitare l’effetto Panda pensano che sia sufficiente chiudere le palpebre. “Sulla congiuntiva e la cornea la radiazione UV però – sostengono gli esperti dell’Iss – può produrre irritazione e infiammazione (fotocheratocongiuntivite), fenomeni acuti molto fastidiosi, come la sensazione di sabbia negli occhi, che di solito regrediscono dopo qualche giorno. Il danno al cristallino e alla retina è invece più subdolo, poiché non si manifesta con reazioni acute”.



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