sabato 23 luglio 2016

TATOO E DIABETE



Tatuarsi è un gesto accessibile a tutti, alcune persone hanno delle limitazione a causa del loro stato di salute, come ad esempio i diabetici.

Il legame il diabete e i tatuaggi non è così evidente, eppure coloro che soffrono di tale disturbo non dovrebbero farne uno. Nei casi di diabete, il soggetto che intende tatuarsi un’immagine o una scritta sul corpo deve prendere coscienza dei rischi cui va incontro. Una persona affetta da diabete è soggetta ad una cicatrizzazione più lenta rispetto alla norma, elemento importante da considerare visto che l’ago o gli aghi della macchinetta del tatuatore penetrano in profondità e creano numerose micro ferite sulla pelle. Inoltre, proprio a causa del lento rimarginarsi delle ferite, possono insorgere infezioni importanti, che scatenerebbero un aumento pericoloso della glicemia nel sangue, fattore di rischio per chi è già diabetico.

Ad ogni modo, alcuni medici affermano che l’essere diabetici non esclude a priori la possibilità di fare un tatuaggio: è bene chiedere consiglio agli specialisti per valutare insieme se il tipo di diabete di cui si soffre e la sua gravità consentano di affidarsi alle mani di un tatuatore. Bisogna ricordare che sebbene sia pericoloso, le conseguenze negative di un tatuaggio su un soggetto diabetico possono non manifestarsi: le ferite possono rimarginarsi in tempi accettabili e il livello di zuccheri nel sangue, così come le infezioni, possono essere tenute sotto controllo. A riguardo, dagli Stati Uniti arriva un’innovazione in tale ambito: un tatuaggio, in grado di monitorare il livello di glicemia dei soggetti affetti da diabete.

L’ingegnere biomedico Gerard Coté, della Dwight Look College of Engineering in Texas, ha messo a punto un particolare tipo di tatuaggio che, sulla pelle di un soggetto diabetico, è in grado di cambiare colore in base alla concentrazione di zuccheri nel sangue. Questo sistema consentirebbe di evitare fastidiose punture, che prelevando del sangue in genere dai polpastrelli delle dita, hanno monitorato il tasso di glicemia fino ad oggi. Un metodo, questo, piuttosto fastidioso e doloroso, a dispetto invece del tatuaggio del Dottor Coté: egli avrebbe messo a punto delle sfere fluorescenti della sezione di un capello umano, da posizionare non nel derma, bensì in maniera più superficiale, negli interstizi cutanei, laddove si concentra anche il glucosio. Quest’ultimo, depositandosi sopra le sfere di Coté, ne comprometterebbe la luminosità: illuminando quindi il tatuaggio con un raggio laser, cambierebbe colore e luminosità in base al livello di zuccheri nel sangue.

Il sistema è ancora in fase di sperimentazione, soprattutto per quanto riguarda i casi di rigetto di un corpo estraneo, ma l’idea messa a punto da Coté sembra avere un futuro brillante nel campo scientifico, perché cambierebbe la vita di tutti coloro affetti da diabete con un innocente, piccolo tatuaggio.



Una volta ottimizzato, questo tatuaggio potrebbe rivelarsi un’alternativa più economica alle strisce per la misurazione della glicemia, che in Italia costano in media quasi 50 centesimi ciascuna. Rimuovere questo costo e rendere la misurazione della glicemia una tecnica meno dolorosa e scomoda avrebbe inoltre l’effetto positivo di incoraggiare i diabetici ad osservare con più costanza il monitoraggio della glicemia.

Pare che negli Stati Uniti sia sempre più frequente incontrare persone che si fanno tatuare sulla pelle il proprio stato medico, se non addirittura le ultime volontà. Scrive il quotidiano inglese "The Independent" che cresce il numero di americani che, invece di indossare braccialetti o medagliette per segnalare allergie gravi o patologie come il diabete, scelgono di farsi incidere in modo indelebile sul corpo il proprio problema, in modo che, in caso di emergenza, non vengano loro somministrati farmaci che poi si rivelano pericolosi. C’è addirittura chi si fa scrivere sul petto, vicino al cuore, e a scanso di equivoci, "non rianimare": un’indicazione precisa e univoca per i paramedici, una sorta di testamento biologico in breve. In Italia invece, come spiega il chirurgo plastico Ezio Nicodemi, "ancora non ci sono persone che richiedono questo tipo di tatuaggi. Negli ultimi due anni però abbiamo osservato diversi giovani tra i 20 e 30 anni che si fanno tatuare il gruppo sanguigno, perché pensano che in caso di incidente possa essere un’informazione preziosa. Tuttavia, i centri trasfusionali rifanno comunque sempre il test per accertarne la veridicità". C’è poi da dire che gli italiani, aggiunge Massimo Papi, responsabile dell’unità operativa delle ulcere cutanee dell’Istituto dermopatico dell’Immacolata (Idi) di Roma, "sono per natura poco propensi a dare disposizioni a livello legale per quel che riguarda il proprio corpo. Basti pensare alla donazione di organi. Nei Paesi scandinavi ci sono casi di tatuaggi come indicatori di testamento biologico, ma si tratta di un fenomeno minimo". Comunque i medici si aspettano "che prima o poi l’onda lunga di questa moda arrivi anche qui - commenta Toti Amato, dermatologo e presidente dell’Ordine dei medici di Palermo - Il problema è che molti ignorano il pericolo e le controindicazioni di un tatuaggio. Pochi sanno che se nei disegni c’è del rosso non si può fare la risonanza magnetica perché si rischia un’ustione e anche un’alterazione delle immagini. Questo perché il pigmento contiene ferro. E non è l’unico metallo presente nei colori usati per disegnare tatuaggi. In genere si fa poco caso alla composizione dei pigmenti, si ignora che dentro possono esserci sostanze pericolose. Direi che senza dubbio è meglio usare una medaglietta su cui si possono scrivere anche più informazioni relative al proprio stato di salute".


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I BENEFICI DEI FANGHI



La fangoterapia è una terapia termale che viene effettuata impiegando fango termale rimasto in infusione in speciali contenitori per circa 50-60 giorni.

Il fango maturo è alla base della fangoterapia che si compone di quattro passaggi:
l'applicazione del fango,
il bagno in acqua termale,
la reazione sudorale,
il massaggio tonificante.
Il fango viene applicato direttamente sulla pelle ad una temperatura tra i 37 °C e i 38 °C per un periodo che varia dai 15 ai 20 minuti. Al termine dell'applicazione, il paziente, dopo essere stato sottoposto ad una doccia calda, si immerge nel bagno termale alla temperatura di 37-38 °C per circa 8 minuti. Infine, viene asciugato con panni caldi.

La fangoterapia è efficace nelle forme infiammatorie croniche dell'apparato locomotore quali artrosi articolari, tendiniti, dolori e infiammazioni muscolari.

La fangoterapia è considerata un trattamento estetico e curativo a base di fango, utilizzato per eliminare i liquidi in eccesso, trattenuti soprattutto nei tessuti di gambe, addome e fianchi.

I fanghi sono una melma costituita dalla mescolanza di una componente solida con una componente liquida (acqua minerale o termale) e utilizzati sotto forma di "impacco". La componente solida ha una base inorganica, costituita principalmente da argilla, e una organica che comprende microflora (batteri, alghe, diatomee, protozoi, etc.), microfauna, humus, composti humo-minerali e vegetali di diversa natura, derivanti principalmente dalla fase di maturazione dei fanghi stessi o dal loro precedente utilizzo (detriti cellulari, secrezioni, etc.).

Nella componente liquida distinguiamo l'acqua contenuta nel fango vergine, che impregna il fango nel giacimento di origine, dall'acqua minerale nel quale viene fatto "maturare" il fango. Infatti, prima di poter essere utilizzato, il fango grezzo deve essere sottoposto ad un particolare processo di "maturazione".

Quello proveniente dalla sorgente, è sottoposto a macerazione per lungo tempo nell’acqua minerale, in modo che i granelli di argilla subiscano una trasformazione caricandosi di proprietà chimiche e chimico-fisiche dell’acqua in cui sono posti a macerare. Le acque minerali, oltre che a mineralizzare i fanghi, contribuiscono al processo di maturazione anche attraverso l'apporto di microorganismi e alghe.

Dalle proprietà fisiche dei fanghi deriva la loro consistenza, la concentrazione di sostanze attive in essi contenuta e il tipo di trattamento terapeutico per cui cui verranno applicati. Le proprietà del fango sono: la capacità calorica, cioè il potere di accumulo o di dispersione del calore, quando vengono a contatto con la pelle. La plasticità, cioè il grado di malleabilità del fango e quindi la capacità di aderire alla superficie corporea.

Questa proprietà è in relazione con il numero e le dimensioni delle particelle della componente solida: un'argilla è tanto più plastica quanto maggiore è il numero delle particelle che la compongono e quanto minore è la loro dimensione. Il potere di assorbimento e di scambio ionico dovuto al processo di osmosi in virtù del quale le sostanze minerali entrano attraverso la pelle ed escono particelle di acqua e di grasso.

L'osmosi è un processo fisico spontaneo di scambio, vale a dire senza apporto esterno di energia, che tende a diluire, in presenza di due soluzioni separate da una parete semipermeabile, come può essere la pelle, quella più concentrata, allo scopo di ridurre la differenza di concentrazione. Questo processo è un fenomeno importante in biologia, che interviene in alcuni processi di trasporto passivo attraverso membrane biologiche.

In Italia la fangoterapia è una pratica legata alle scienze e cure naturali, quindi non esiste ufficialmente la figura del fangoterapeuta. Si tratta di medici specializzati o persone esperte di terapie naturali che offrono la loro conoscenza riguardo questa cura.

Il Sistema Sanitario Nazionale copre l’erogazione delle cure termali per i pazienti colpiti da malattie: reumatiche, delle vie respiratorie, dermatologiche, ginecologiche, otorinolaringoiatriche, dell’apparato urinario, vascolari, dell’apparato gastroenterico. Per accedere alle cure, è necessaria la prescrizione del medico di base.

Ticket e spese di soggiorno sono a carico dell’assistito, che può scegliere lo stabilimento termale che preferisce tra quelli accreditati per il determinato ciclo di trattamento.

Depurano la pelle, spengono le infiammazioni e drenano i ristagni di liquidi. I fanghi, morbido impasto di argille miscelate sapientemente con acqua e ingredienti specifici, sono quanto di più indicato per risolvere gli inestetismi più comuni, come la cellulite, l’acne, la forfora.

Composti da una parte solida, a base di materiale organico e inorganico, e una liquida, cioè le acque minerali, i fanghi utilizzati per scopi estetici di solito contengono materiale terroso molto fine che restando a contatto per lungo tempo con acque termali, ne assorbe i principi attivi, come lo zolfo, le vitamine, gli oligoelementi. Spesso, la formulazione dei fanghi è arricchita da altre sostanze dall’azione specifica (fitoestratti, acido salicilico, oli essenziali, derivati marini) che ne modificano e aumentano l’efficacia.

La loro azione è dovuta in gran parte al cosiddetto effetto osmotico: applicando i fanghi sul corpo, si crea uno strato isolante che aumenta la temperatura della pelle, e di conseguenza i pori si aprono favorendo la penetrazione dei principi attivi contenuti nella miscela, con risultati che dipendono dalle zone del corpo dove avviene l’applicazione e dalle sostanze utilizzate: ricorrendo ai fanghi si può contribuire a eliminare il sebo in eccesso oppure contrastare la formazione di brufoli e impurità, rendere la pelle  levigata e morbida o ridurre i ristagni di liquidi, rivitalizzare i capelli regolarizzando anche la produzione di forfora o più semplicemente ridare un bel colorito al viso. Chi ama le fragranze, può trovare in commercio fanghi profumati: contro la cellulite per esempio ne esistono alcuni di colore bianco perché a base di caolino (sostanza che viene utilizzata al posto dell’argilla), e profumati alla cannella, oppure alla menta, o ancora all’anice stellato.



Supersicuri, i fanghi sono controindicati solo durante la gravidanza e l’allattamento (ma è possibile applicarli se il medico dà l’ok). In ogni caso, tenete presente che un leggero rossore o un pizzicore sono reazioni normali, dovute all’aumento della microcircolazione della cute, e di solito scompaiono a distanza di mezz’ora o di un’ora dal risciacquo. Attenzione però: se nel corso dell’applicazione queste sensazioni sono molto forti, è bene ridurre i tempi di posa. Non esponetevi ai raggi solari subito dopo il trattamento: durante i mesi estivi, è meglio applicarli di sera e aspettare fino al mattino prima di sdraiarsi al sole.

Chi soffre di cellulite non lascia niente di intentato pur di contrastarla, ben sapendo di avere a che fare con un “nemico” subdolo e insidioso:  e tra i vari rimedi contro la cellulite ci sono anche i fanghi, drenanti e stimolanti per la circolazione.

Efficacissimi sono quelli a base di alghe, che a questo scopo vengono raccolte, lasciate essiccare e lavorate in modo tale da non alterarne il contenuto in minerali, vitamine, glucidi, protidi, grassi e altre sostanze benefiche. Grazie agli estratti marini e vegetali, hanno un’azione drenante, ovvero  contribuiscono a eliminare il ristagno di liquidi e tossine tipico della cellulite, oltre a stimolare la circolazione. Si applicano sulla pelle ben pulita, avvolgendosi poi con una pellicola da cucina. Si tengono in posa per venti-trenta minuti, poi si sciacqua. Per ottimizzarne l’effetto del fango, si può applicare una crema coordinata, a base di estratti tonificanti e rinfrescanti. Potete acquistarli già pronti in qualsiasi erboristeria e in molte farmacie con settore naturale.

Anche i capelli possono giovarsi dell’applicazione di fanghi specifici. In commercio esistono formulazioni studiate per chiome secche, grasse o normali, opportunamente arricchite con alghe, oli vegetali, argilla ventilata e oli essenziali, per riequilibrare la produzione di sebo, nutrire i capelli contrastando la formazione delle doppie punte e renderli più morbidi e setosi. Gli impacchi si applicano di solito una o due volte alla settimana, sui capelli bagnati e con un leggero massaggio, lasciandoli in posa in alcuni minuti prima di sciacquare.

I fanghi termali sono molto utili nel combattere lo stress attraverso la fase di rilassamento muscolare che inducono naturalmente, inoltre purificano e disintossicano la pelle che appare subito più levigata e morbida al tatto. Anche la circolazione sanguigna trae notevoli benefici dalla fangoterapia con un effetto drenante e anticellulite.

Non ultimo l’effetto benefico sulle infiammazioni e sui dolori articolari. Esistono poi degli speciali fanghi termali salso-bromo idrici e di estratti di quillaja saponaria, trigonella, kigelia e luppolo che donano un effetto tonificante al decoltè.

Per eseguire nella maniera ottimale la fangoterapia occorre tenere a mente delle regole precise e affidarsi alla professionalità di centri specializzati. La temperatura del fango deve essere di circa 50 °C, con una media di 47 °C. La durata dell’applicazione non dovrebbe mai oltrepassare i 15-20 minuti con una sola applicazione giornaliera. Dopo l’applicazione, rimosso il fango, si effettua un bagno in acqua normale o minerale alla temperatura di 37-38 °C. Ogni quattro giorni è essenziale un giorno di riposo e tutto il ciclo di cura non deve superare dodici o quindici applicazioni.


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venerdì 15 luglio 2016

TIPI DI PELLE



La pelle subisce ampie variazioni nel corso della vita: lo stato di salute della cute è pesantemente influenzato da abitudini di vita, condizioni climatiche, età ed eventuali condizioni morbose. Difatti, la pelle è perennemente a contatto con l'ambiente esterno: l'azione del vento, gli sbalzi di temperatura, le variazioni di umidità ed i raggi UV del sole possono talvolta alterare visibilmente il naturale aspetto della cute.
Per determinare il proprio tipo di pelle, i moderni strumenti dermatologici (es. corneometro, evaporimetro, lampada di wood, idro-test, sebo-test, pH-metro ecc.) valutano più caratteristiche: consistenza della pelle, aspetto, grado di idratazione,
quantità di sebo presente, temperatura, pH della pelle e il colore (fototipo).
In assenza di patologie dermatologiche o metaboliche, non è necessario sottoporsi ad indagini diagnostiche approfondite per stabilire il proprio biotipo cutaneo: in tal caso, può essere sufficiente il solo aiuto di una lente d'ingrandimento, strumento utilissimo per fornire informazioni importanti sulle caratteristiche della pelle di ognuno di noi.

La pelle normale ha un aspetto disteso, compatto, liscio. 
I prodotti per la cura della pelle normale sono incentrati reintegrano elementi idratanti ed emollienti per proteggerla dall’aggressione da parte degli agenti esterni. 
La formulazione dei prodotti per la cura della pelle normale contiene principi attivi che svolgono attività di prevenzione e mantenimento senza però interferire con i meccanismi spontanei di corretto funzionamento della pelle. 

La pelle grassa è caratterizzata dal tipico aspetto lucido, da follicoli dilatati e al tatto risulta untuosa. È la secrezione eccessiva delle ghiandole sebacee (seborrea) a causare queste problematiche, spesso accompagnate alle alterazioni dovute all’ispessimento dello strato corneo (cheratosi e ipercheratosi). 
I prodotti per la cura della pelle grassa consistono in formulazioni astringenti, emollienti, sebo-riequilibranti, igienico-equilibranti, purificanti. 
La pelle grassa è diffusa anche nell’età adolescenziale. La pelle asfittica dei giovanissimi presenta modifiche secretorie (ipersecrezione sebacea ceroide) e strutturali (ipercheratosi dello strato corneo); la si riconosce per la presenza di comedoni (depositi di sebo presso gli sbocchi delle ghiandole sebacee), punti neri, zaffi cornei, secchezza e sensibilità alle infezioni. Spesso questa condizione sfocia nell’acne (viso ma anche spalle, petto, braccia).

La pelle secca è colpita da disidratazione, dalla scarsa produzione di sebo (pelle alipica) o da entrambi i fenomeni. 
La pelle disidratata, i cui tessuti sono carenti di acqua, è sottile, avvizzita, predisposta alle screpolature e alle spaccature. I prodotti più adatti non sono aggressivi ma dolci per evitare la percezione della pelle “che tira” e ricchi di fattori idratanti naturali (es. amminoacidi, zucchero, urea, lattato sodico, piroglutamato sodico, lattato sodico).  
La pelle che genera poco sebo invece è delicata, opacizzata e presenta rossori, inoltre è ipersensibile agli agenti esterni. I prodotti per pelle alipica devono ristrutturare il mantello lipidico con trattamenti sebo-restitutivi (es. acidi grassi insaturi, trigliceridi).

Sono tante le persone ad avere la pelle mista, ossia in parte grassa e in parte secca. 
Oltre a formare la cosiddetta zona grassa a T sul viso (fronte, naso e mento), la pelle del corpo tendente alla secchezza può essere grassa per esempio sulle spalle, nell’incavo dei seni, ecc. 
I prodotti per la pelle mista del corpo si scelgono fondamentalmente in base alla maggiore percentuale di pelle grassa o secca. Nelle aree del corpo in cui la pelle non presenta il tratto dominante si usano prodotti per il tipo di pelle presente in minore percentuale.

La pelle sensibile è morbida ma sottile, delicata ed estremamente fragile; va protetta con attenzione dagli agenti chimici e ambientali esterni poiché si irrita con facilità. 
I prodotti per la pelle sensibile, oltre a idratare, devono essere specificatamente ipoallergenici per evitare infiammazioni, arrossamenti e prurito.

Si definisce impura la pelle con inestetismi quali comedoni, punti neri e zaffi cornei arrecati per esempio dalla seborrea, che rende la produzione di sebo quantitativamente accentuata e il sebo stesso più ceroso, con mutamento del pH cutaneo, modificazione della pellicola idrolipidica protettiva e diminuzione delle funzioni difensive naturali. Come del resto richiedono tutti i problemi dermatologici di una certa entità, è necessaria la consultazione di un dermatologo perché i prodotti per la cura del corpo a livello estetico non sono affatto di utilità e addirittura potrebbero peggiorare la situazione.



La pelle con couperose si manifesta con eritrosi e con teleangectasie, cioè con la dilatazione dei capillari sottoepidermici che si sfibrano e formano una fitta rete violacea, visibile esternamente specialmente sulle guance. Generalmente questa situazione si manifesta in soggetti emotivi, facili al rossore (che può essere transitorio, con vampate, oppure prolungato nel tempo, con una eritrosi) e che soffrono di fragilità capillare. La couperose è presente sulla pelle sottile, secca, delicata, piuttosto sensibile, irritabile, reattiva e allergica. Questo danno estetico peggiora in occasione di sbalzi di temperatura, di esposizione ai raggi ultravioletti e di massaggi troppo violenti; occorre invece intervenire sulla couperose con trattamenti protettivi e con sostanze astringenti vasali. Queste caratteristiche della pelle devono possibilmente essere evidenziate con un attento esame visivo, eseguito con un'ottima illuminazione da una distanza ravvicinata e, in seguito, anche con una lente ad ingrandimento. Bisogna valutare il colorito, lo spessore, eventualmente aiutandosi con qualche piccola pressione. Questo esame iniziale permette di raccogliere tutta una serie di dati che aiutano ad ottenere la valutazione finale della pelle. Se esistono problemi dermatologici più o meno evidenti, occorre sempre ricorrere alla competenza del medico dermatologo.

La disidratazione e la denutrizione cellulare sono fattori di rallentamento dell'attività del tessuto cutaneo, determinano una diminuzione dello spessore dei vari strati e una progressiva perdita delle loro proprietà. Sono queste le premesse che portano all' invecchiamento della cute. 
I prodotti formulati per questo tipo di pelle devono affrontare globalmente il problema della senescenza. Devono garantire un'azione preventiva sulle modificazioni plastiche e strutturali della cute, un'efficiente apporto di sostanze emollienti ed idratanti ed una valida difesa contro l'azione deleteria dei raggi UV e dei radicali liberi. 





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giovedì 14 luglio 2016

LA CELLULITE



La Cellulite è una manifestazione topografica della pelle associata a depressioni o introflessioni, frequenti nella zona pelvica e addominale, nei fianchi, sui glutei e nelle cosce. Può manifestarsi anche associata a noduli nel tessuto adiposo sottocutaneo e in casi più rari ad un sospetto stato infiammatorio.

Il termine cellulite, ormai globalmente utilizzato, fu introdotto in Francia nel 1922 da Alquier e Paviot descrivendola come inestetismo  creando però una potenziale ambiguità e confusione con il termine cellulitis con cui nella letteratura medica inglese si descrive una infezione cancrenosa dei tessuti sottocutanei. Alquier e Paviot descrivevano una distrofia dei tessuti mesenchimiali senza alcun elemento flogistico.

Circa una decina di anni dopo Laguese la descrisse come una malattia dell'ipoderma caratterizzata da edema interstiziale e aumento del grasso sottocutaneo. Nürnberger e Müller , da una ampia indagine istologica, 150 autopsie e 30 soggetti viventi, non rilevarono alcun fenomeno di edema o di fibrosi associato alla cellulite.

La grande confusione sul nome da dare alla cellulite riflette la difficoltà di comprendere correttamente la natura del fenomeno. "Nonostante il grande interesse nel trattamento di questa condizione e l'enorme mercato per trattamenti topici volti a migliorare il suo aspetto, la cellulite è ancora una condizione enigmatica e un non-argomento di importanza minore, ammesso che ne abbia qualcuna, per i ricercatori medici”. “La grande quantità di nonsensi pseudoscientifici che circolano in relazione alla cellulite rendono il soggetto poco attraente per ogni serio gruppo di studio”.

Una revisione delle ricerche scientifiche pubblicate nel periodo dal 1978 ad aprile 2011 conclude che si tratta di un “fenomeno fisiologico o con basi fisiologiche, caratteristico della donna, di origine multicausale che molti fattori possono scatenare, perpetuare o peggiorare”. L'opinione medica prevalente, specie nel mondo anglosassone, è che nel complesso si tratti di una “condizione normale di molte donne”.

La cellulite è stata considerata un tipico caso di "Disease mongering". Già nel 1978 uno dei primi studi scientifici pubblicato aveva l'emblematico titolo:”La cosiddetta cellulite: una malattia inventata”. Recentemente è stata definita da de Godoy ”la non-malattia più investigata”. L'alta incidenza (80-90%)nella popolazione femminile in età post puberale oltre al fatto che al di là dell'inestetismo si presenta generalmente come asintomatica la fanno considerare una normale condizione fisiologica.

Può essere invece considerata all'interno di un quadro patologico notando che è una condizione normale per moltissime donne ma non per tutte e che nelle sue forme più gravi si manifesta con noduli dolenti alla palpazione che fanno sospettare processi infiammatori, inoltre è generalmente associata ad un eccessivo accumulo di tessuto adiposo sottocutaneo di cui non è chiara la relazione positiva o negativa con il rischio cardiovascolare.

Sono state ipotizzate decine di cause diverse.

Vita sedentaria o dimagrimento eccessivamente rapido: il tessuto muscolare cede e quindi si aggrava la situazione visiva della cellulite. Per avere meno problemi di cellulite bisogna essere sempre in movimento, il moto infatti aiuta a mantenere efficiente muscolatura, circolazione e metabolismo aiutando a bruciare i grassi e a prevenire la stasi circolatoria.
Causa un’alimentazione sbagliata, cioè troppo piena di calorie e di cibi ricchi di grassi e di sale, si forma un accumulo di adipe localizzato, ritenzione dei liquidi.
Postura sbagliata e con gambe accavallate, contribuisce ad aggravare la circolazione sanguigna e quindi la cellulite perché comprime i vasi.
Troppo tempo in piedi immobili causa una cattiva circolazione sanguigna, perché il sangue fa fatica a risalire dagli arti inferiori, con conseguente stasi circolatoria.
L’abbigliamento troppo stretto causa cattiva circolazione perché comprime i vasi.
Scarpe troppo strette o con tacco troppo alto, ostacolano il ritorno venoso e linfatico e impediscono il corretto funzionamento dell'importantissima "pompa venosa”.
Stress e fumo sono altri fattori che aggravano lo stato della cellulite perché: Lo stress aumenta il livello degli ormoni dello stress e invece il fumo ha un’azione vasocostrittrice e aumenta i radicali liberi che peggiorano il microcircolo e aiutano ad accelerare l’invecchiamento cutaneo.
Essere in sovrappeso o affetti da obesità.



Il pannicolo adiposo, tessuto posto anatomicamente sotto la cute, è una riserva attiva di energia, legata al metabolismo individuale, scientificamente definito bilancio calorico:
quando il bilancio calorico diminuisce (maggiore attività fisica o minore introduzione di calorie con il cibo) la riserva adiposa si riduce (lipolisi);
quando il bilancio calorico aumenta (minore attività fisica od eccessiva introduzione di calorie con il cibo) si verifica il deposito dei grassi (liposintesi).
Come tutti i tessuti, anche il pannicolo adiposo ha una sua impalcatura di sostegno (il tessuto reticolare ed il collagene) ed una  vascolarizzazione, denominata microcircolo; attraverso la vascolarizzazione il tessuto adiposo fornice l'energia all'organismo o la accumula, sottoforma di grasso.
Alterazioni ormonali e vascolari, spesso aggravate da vita sedentaria, da stress, da malattie epatiche, alimentazione non corretta o bilanciata, irregolarità della funzione intestinale e ritenzione idrica marcata, variamente combinate tra loro, sono le cause che interferiscono negativamente sul tessuto adiposo ed in particolare sul microcircolo.
In questi casi le cellule adipose si rompono; il loro contenuto, i trigliceridi, si spande nello spazio tra le cellule comprimendo il microcircolo ed impedendone il corretto funzionamento.
La persistenza nel tempo di queste alterazioni anatomico-metaboliche, produce lo sviluppo di ulteriori alterazioni del tessuto adiposo (lipodistrofia); modificazioni che producono sia un aumento di volume e consistenza del tessuto di sostegno che la riduzione del calibro (per compressione) e dell'elasticità dei vasi sanguigni del microcircolo.

La lotta alla cellulite passa soprattutto attraverso la modifica del proprio stile di vita. Un'alimentazione sana, regolare ed equilibrata, con il corretto apporto di frutta e verdura e la limitazione di sale e di tutti gli alimenti che possono provocare ritenzione idrica; la limitazione del sovrappeso, attraverso una dieta povera di grassi e zuccheri;u n’attività fisica costante e regolare (non necessariamente intensa) che aiuti da un lato a migliorare la circolazione e dall’altro a ridurre l’accumulo di grassi e ad accelerare il metabolismo; bere molta acqua durante il giorno, per aiutare l’eliminazione dei liquidi; evitare l’abuso di fumo, alcol, caffè che aumentano la ritenzione idrica e peggiorano la circolazione; evitare indumenti troppo attillati che possono limitare la circolazione, così come il mantenere troppo a lungo posizioni errate come le gambe accavallate.





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martedì 12 luglio 2016

IL FIOCCO





Il fiocco è simbolo di un legame libero, uno di quelli che si potrà comunque sciogliere, e quindi sinonimo di unione nella libertà. Il fiocco inoltre si usa come se stesse a rappresentare il famoso nodo nel fazzoletto, quello che i nostri nonni si facevano per ricordare gli appuntamenti nell’era in cui non c’erano gli smartphone.

Inizialmente questo simbolo è nato come un ornamento, veniva infatti tatuato accanto ad altri tatuaggi per abbellirli, ma solo successivamente grazie ad alcune celebrità che diedero il via a questa nuova moda, il fiocco iniziò a spopolare in particolare sui polsi, sulle braccia e sulle caviglia di giovani e non solo.

Tatuaggio prettamente femminile, il fiocco rappresenta una femminilità sensuale ma sopratutto civettuola. Spesso visto come un elemento grazioso e ornamentale, il fiocco simboleggia prevalentemente un’unione ed un legame che vuole essere preservato e custodito.




Solitamente il fiocco viene realizzato di piccole dimensioni, in bianco e nero o colorato in rosa o rosso e può essere posizionato in ogni punto del corpo dalla schiena alla caviglia fino a dietro l’orecchio o sul polso.

Il fiocco oltre ad essere un simbolo molto femminile e grazioso ha anche un significato importante, simboleggia infatti un legame da custodire e da proteggere, per questo a volte lo si abbina ad iniziali di nomi o al simbolo dell’ancora.





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LO SBIANCAMENTO ANALE



La colorazione scura dell’ano era una seria preoccupazione sempre crescente delle pornostar, dei danzatori e poi delle stelle del cinema. Poiché la domanda di sbiancamento anale è cresciuta, la gente ha cominciato a sviluppare prodotti per soddisfare le esigenze dei propri clienti.

Si vive in una società dove si è più “esposti”, le star vogliono esaltare la loro bellezza a riguardo di tutte le aree del loro corpo, per questo le persone si rivolgono allo sbiancamento anale come il prossimo passo nella valorizzazione della loro bellezza. Lo sbiancamento anale permette sia a uomini che donne di apparire al meglio, soprattutto nelle loro zone più intime.

Ognuno è diverso. Alcuni di noi hanno diverse pigmentazioni della pelle. Tuttavia, vi sono molte ragioni per cui la decolorazione dell’ano o della vagina può verificarsi. La colorazione scura dei capezzoli del seno e della vagina possono derivare da cambiamenti ormonali che possono verificarsi dopo la gravidanza. Lo sfintere anale scurisce principalmente a causa dei rifiuti corporei. Tuttavia, l’ano può cambiare il proprio colore anche a causa delle fluttuazioni ormonali, sia negli uomini che nelle donne. Una delle causa di oscuramento dell’ano è anche la rasatura.

Lo sbiancamento anale è una tecnica medico chirurgica che consiste nello schiarimento della cute e mucosa circostante l’orifizio anale, regione ove in alcuni pazienti si accumula, nel corso degli anni, una smisurata quantità di melanina che conferisce un’insolita, sproporzionata e fastidiosa iperpigmentazione rispetto al resto del corpo. Tale colorazione più scura tende a comparire e a peggiorare con l’età, ma spesso è presente anche i giovani.

Non si tratta di un problema, ma è una caratteristica del corpo umano del tutto naturale e pertanto non richiederebbe alcun intervento. Tuttavia, alla maggior parte delle persone, questa diversa colorazione della pelle – che risulta più scura e tendente al marrone – risulta molto sgradevole alla vista e spesso viene erroneamente associata a una scarsa igiene personale. Ciò può determinare ansia nel momento in cui ci si approccia al partner durante i rapporti sessuali.



La procedura di sbiancamento anale comporta l’applicazione di una crema cosmetica nella zona anale. Questa procedura di sbiancamento è vietata in alcuni paesi, in particolare in Francia e nel Regno Unito, a causa dei principi attivi della crema, l’idrochinone, una sostanza che si sospetta sia cancerogena. Il Mercurio e altre sostanze chimiche sono anche essere utilizzati come agenti sbiancanti attivi della pelle.

La melanina, una sostanza chimica prodotta naturalmente dal nostro corpo, scurisce il colore. La melanina svolge un fattore determinante nello sbiancamento anale della pelle e funge da protettore naturale del sole. Più melanina viene prodotta, più scura diventa la pelle. L’idrochinone, (un prodotto chimico usato anche nell’elaborazione delle foto, tinture per capelli e la produzione di gomma), il mercurio e altre sostanze chimiche inibiscono la produzione della pelle di melanina e ne diminuiscono la produzione nella zona cutanea in cui vengono applicate.  Questi agenti sbiancanti schiariscono temporaneamente il colore della pelle, ma l’esposizione ai raggi ultravioletti possono riossidare la pelle, creando un aspetto più scuro rispetto a quello di prima. Questa è una ragione per cui la maggior parte delle volte si consiglia di evitare l’esposizione alla luce solare subito dopo l’applicazione dei prodotti per lo sbiancamento anale.

L’uso prolungato di idrochinone può ispessire le fibre di collagene con un conseguente aspetto della pelle che diverrà a macchie, mentre il Mercurio, utilizzato a lungo termine, è un noto cancerogeno. Di conseguenza, l’esposizione prolungata a entrambi questo prodotti possono causare il cancro, l’avvelenamento da mercurio, insufficienza renale o epatica. Lo sbiancamento anale potrebbe anche causare ustioni chimiche in una zona altamente sensibile come quella anale.

Lo sbiancamento anale è sicuro se si utilizza il prodotto giusto. Occorre trovare un prodotto completamente naturale appositamente formulato per lo sbiancamento anale.

Ci sono un certo numero di prodotti disponibili che sono stati utilizzati per questo scopo, ma molti hanno sostanze chimiche aggressive e potenzialmente pericolose come l’acido cogico o idrochinone come i loro principi attivi e non sono mai stati destinati ad essere utilizzati su aree sensibili come l’ano o la vagina. Molti di questi prodotti sono stati utilizzati dalle donne afro-americane per schiarire la loro pelle. Ma queste sostanze chimiche possono avere alcuni effetti collaterali pericolosi come bruciore anale e cicatrici. Questo, a sua volta, potrebbe portare a incontinenza anale.

Ci sono prodotti sbiancanti, come l’acido azelaico, che sono meno tossici e servono a ridurre la produzione di melanina, aumentando però possibili complicanze cutanee a lungo termine.  Come per qualsiasi intervento di chirurgia estetica, ci sono rischi che possono o non possono superare i potenziali benefici. Si consiglia vivamente di consultare il proprio medico prima di tentare lo sbiancamento anale oppure andare a chiedere una consulenza in un salone che offre questo servizio. Alcuni kit di sbiancamento anale nei saloni ne pubblicizzano la sicurezza, ma ci sono dei rischi connessi con l’esposizione a lungo termine a queste sostanze chimiche, in particolare cancerogeni.




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LO SBIANCAMENTO DEI DENTI




Lo sbiancamento dentale è una delle pratiche odontoiatriche più antiche nella storia. Già i Fenici e gli Antichi Romani erano soliti usare impacchi di cera ed urea per sbiancare i denti. Nel Medioevo, invece, si applicavano delle soluzioni acide per andare a sciogliere lo strato più superficiale di smalto, ovvero quello più pigmentato, e se questo non era sufficiente si limavano con delle raspe di ferro le superfici esterne dei denti, fino a trovare smalto bianco. In seguito, hanno avuto molta diffusione i rimedi della tradizione popolare che prevedevano l'utilizzo di foglie di salvia da strofinare sui denti oppure la stessa cosa poteva essere fatta con le bucce di limone o il bicarbonato di sodio. Tali metodi, però, davano un risultato modesto e molto poco duraturo. Verso la fine dell'Ottocento, iniziano a comparire i primi trattamenti a base di perossido di idrogeno, ma a concentrazioni piuttosto elevate e dunque pericolosi per i pazienti. Facendo tesoro dei tentativi fatti dai colleghi in precedenza con varie concentrazioni di prodotto e varie tecniche, nel 1989 Van Haywood fu il primo a codificare quello che oggi chiamiamo sbiancamento domiciliare notturno. Parallelamente vennero codificate anche le tecniche per sbiancare con successo e senza rischi per i denti devitalizzati. Attualmente le nuove frontiere di ricerca sullo sbiancamento dentale riguardano la combinazione tra trattamenti sbiancanti e trattamenti protesici, al fine di ottimizzare la resa estetica nei casi clinici complessi.

Lo sbiancamento dentale è una procedura odontoiatrica che permette di migliorare il colore dei denti, rendendoli più bianchi. A questo primo tipo di sbiancamento, cosiddetto “cosmetico”, si affiancano altri tipi di sbiancamenti utili per risolvere discromie dentali, anche severe, dovute a patologie sistemiche (per esempio la fluorosi, disordini ematici, etc) oppure agli esiti di terapie con alcuni tipi di antibiotici (ad esempio, le tetracicline). I prodotti che vengono utilizzati a tal fine contengono principalmente perossido di idrogeno e perossido di carbammide, impiegati in varie concentrazioni a seconda della tecnica che si intende utilizzare e delle esigenze del paziente. Lo sbiancamento funziona grazie alla liberazione di ossigeno da parte del perossido di idrogeno o di carbammide nel momento in cui viene posto a contatto con i denti. Queste molecole di ossigeno vanno a disgregare le molecole dei pigmenti responsabili della discromia, e dunque rendendole non più visibili. Lo sbiancamento dentale agisce solo sui denti naturali, non agisce su corone protesiche, otturazioni o qualsiasi altro materiale da restauro presente nel cavo orale. Dopo il trattamento sbiancante, eventuali corone protesiche od otturazioni potranno essere maggiormente visibili in quanto non più adeguate al nuovo colore raggiunto dai denti naturali. In tal caso potranno essere sostituite con altre dello stesso colore dei denti sbiancati.

La colpa del cambiamento di colore, in molti casi, è da attribuirsi a caratteristiche genetiche sfavorevoli, al fumo, al passare del tempo e all'assunzione di cibi o bevande particolari, come caffè, liquirizia, tè e coloranti artificiali.
Per riportare il colore dei denti al bianco e alla luminosità di un tempo, è possibile scegliere tra diverse tipologie di trattamenti sbiancanti, rapidi e non invasivi. Aldilà dell'efficacia insita nelle varie metodiche, occorre innanzitutto prendere coscienza dei loro limiti. Sottoporsi a questi trattamenti, infatti, significa nel migliore dei casi riportare il colore della dentatura all'antico splendore, fino a schiarire leggermente le tonalità conferitegli da madre natura.
Tale risultato può essere conseguito sottoponendosi a trattamenti professionali nello studio del proprio dentista o in centri estetici specializzati, effettuando trattamenti combinati (studio dentistico, centro specializzato - casa), oppure adottando i trattamenti domiciliari. In generale, comunque, i denti possono essere resi più bianchi in due modi: uno meccanico (per sfregamento) e uno chimico (con sostanze decoloranti).
Importante una detartrasi periodica, ogni 6-12 mesi, è possibile rivolgersi al proprio dentista anche per sottoporsi ad un trattamento sbiancante di odontoiatria cosmetica professionale (bleaching). La tecnica maggiormente utilizzata si esegue direttamente nello studio dentistico e viene per questo definita "sbiancamento dei denti alla poltrona". Questa procedura sfrutta l'azione di agenti sbiancanti chimici ad alta concentrazione, potenziati da specifiche lampade che ne favoriscono l'azione in profondità. Il mezzo sbiancante più diffuso è costituito da un gel a base di perossido di idrogeno al 35-38% c.a., che una volta esposto a particolari fonti luminose si attiva liberando ossigeno. Una volta liberato, questo gas penetra nella struttura del dente, innescando reazioni di ossido-riduzione che scompongono le molecole delle macchie in composti più piccoli, incolori e facilmente eliminabili.



L'intensità dello sbiancamento dipende dalla concentrazione del principio attivo e dal suo tempo di posa sui denti. In ogni caso, compatibilmente con l'esperienza del dentista, un intervento professionale garantisce il miglior risultato possibile, minimizzando effetti indesiderati come eccessiva sensibilità termica ed irritazione gengivale. Questi disturbi vengono prevenuti alla radice proteggendo le gengive, la lingua e le labbra con presidi utili anche per aumentare il confort della seduta (generalmente si impiegano mascherine personalizzate in silicone morbido). Leggere gengiviti tendono comunque a presentarsi al termine del trattamento, salvo poi regredire spontaneamente nelle 24-48 ore successive.
La presenza di carie, tartaro o gengiviti impone una preventiva risoluzione del problema. L'intervento, inoltre, è sconsigliato ai ragazzi di età inferiore ai 14 anni e alle donne in gravidanza o in periodo di allattamento. Dopo la seduta è importante evitare per almeno 24 ore il fumo e l'assunzione di cibi e bevande coloranti. La seduta di bleaching può variare dai 40 ai 60 minuti ed il costo, indicativamente, dai 300 ai 600 €.

L'intervento di bleaching professionale si contrappone ai tradizionali approcci empirici e fai-da-te, dal costo generalmente contenuto. Uno dei metodi più diffusi consiste nell'impiego di dentifrici abrasivi, la cui azione sbiancante si espleta mediante spazzolamento dei denti con paste dentifrice a granulometria differente. Un utilizzo eccessivo o improprio di questi prodotti può logorare lo smalto dentale, con conseguente ingiallimento dei denti; la loro efficacia, inoltre, si limita alla rimozione delle macchie più superficiali.
Per lo sbiancamento domiciliare il dentista può realizzare nel suo studio mascherine personalizzate in silicone morbido, riproducenti l'esatta forma delle arcate dentarie del paziente. All'interno di queste mascherine viene inserita la giusta quantità di sostanze sbiancanti in gel - come il perossido di carbamide - e si procede con l'applicazione sui denti. Mantenendole in sede per un tempo variabile dai 30 minuti alle 3-4 ore (secondo le indicazioni del dentista) e ripetendo l'operazione per circa una settimana, si ottiene un ottimo effetto sbiancante (paragonabile al bleaching alla poltrona). Generalmente, la durata dell'effetto è di circa 5-6 anni, ammesso che nel corso di questo periodo si effettuino richiami di breve durata.
Un altro intervento domiciliare molto praticato si avvale delle cosiddette "strips", striscette adesive a base di agenti sbiancanti che vanno fatte aderire ai denti per 30 minuti, 2 volte al dì, per 14 giorni. Economico, pratico e con un basso rischio di ipersensibilità dentinale, questo trattamento presenta tuttavia una scarsa efficacia, richiede tempi abbastanza lunghi ed i risultati sono garantiti soltanto per pochi mesi.
Infine, c'è anche chi - per lo sbiancamento dei propri denti - ricorre ai "rimedi della nonna"; i più semplici si basano sullo sfregamento di foglie di salvia fresche, polpa di fragole, o bucce di limone. Anche questi interventi, da molti considerati innocui perché naturali, presentano insidie legate alla loro acidità o al potere abrasivo; per questo motivo è bene ricorrervi soltanto di rado. Più in generale, prima di intraprendere qualsivoglia trattamento sbiancante, è opportuno sottoporsi ad una visita dentistica per accertarsi che non sussistano controindicazioni, come carie, ipersensibilità o malattie del cavo orale.

Durante il trattamento sbiancante sarebbe opportuno evitare l'assunzione di cibi e bevande pigmentanti come per esempio:
tè, caffè ecc;
fumo (sigarette, pipa), tabacco da masticare;
bevande e bibite colorate come coca-cola, vino, cocktail ecc;
salse e sughi;
verdure come carciofi, carote, pomodori ecc;
frutta come fragole, frutti di bosco, marmellate ecc;
caramelle colorate, liquirizia;
collutori.




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lunedì 11 luglio 2016

TATUAGGI GIAPPONESI



I tatuaggi giapponesi sono davvero amatissimi e molto usati anche dalle donne per abbellire la loro pelle.
Curati e raffinati, i tatuaggi giapponesi sono davvero amatissimi dai cultori delle tradizioni orientali ma anche da chi ama abbellire la propria pelle. Molto comuni sono i fiori di ciliegio, tatuaggi con fiori di loto, fiori di acero, carpe e geishe, che sono un po’ di simboli del Giappone. Va sottolineato che però in Giappone i tatuaggi sono legati anche alle mafie e per questo non vengono sempre visti di buon occhio. Anche oggi in Giappone vige il divieto di mostrare tatuaggi in luoghi come bagni pubblici, terme, centri benessere . I tatuaggi giapponesi tradizionali sono eccessivi e puntano, nell’arco di una vita a coprire tutto il corpo: questi capolavori che possono richiedere da 1-5 anni per essere completati, hanno il prezzo esorbitante di circa 25.000 euro. Un disegno però deve essere coerente: mai mescolare fiori diversi, carpe e geishe senza attenersi al preciso significato originale di questi disegni, perchè sarebbe un errore imperdonabile.

I significati di questi tatuaggi dunque devono essere analizzati tenendo conto della peculiarità di questa cultura che è profondamente diversa dalla nostra.

I tatuaggi giapponesi hanno una storia lunga e ricca. Le prime prove di questi tatuaggi si possono trovare in delle statue trovate in delle tombe risalenti a 5000 anni fa. Inoltre, testi del 3° secolo DC, parlano di uomini giapponesi che decorano i loro volti ed i loro corpi con dei tatuaggi. Secoli dopo, principalmente a causa della forte influenza culturale della Cina, il tatuaggio è diventato un tabù, ed è stato in gran parte riservato ai reietti e criminali. La parte integrante del tatuaggio tradizionale giapponese era un elaborato sistema di simboli che sono stati utilizzati per raccontare storie con immagini specifiche che dovevano rivelare il carattere dell’individuo.

Il fascino dei tatuaggi tradizionali giapponesi sta nella capacità dei disegni di evolversi, da piccoli tatuaggi singoli e separati, a grandi tatuaggi che possono abbracciare l’intero braccio come una manica.

Amatissimo il fiore di ciliegio che è il fiore nazionale del Giappone, e che simboleggia la gioventù e la bellezza, la fama e la ricchezza.
Diversamente dal suo significato occidentale, il crisantemo è simbolo di longevità e rappresenta forza e determinazione. Molto comune anche il fiore di loto, uno dei simboli più classici della religione buddista, rappresenta la purezza dell’essere umano. Questi tatuaggi fioriti sono davvero meravigliosi ma richiedono anche molto spazio sul corpo: spesso infatti occupano tutta la spalla e parte del braccio o in alternativa l’intera schiena. Bellissime anche le carpe koi, pesci coloratissimi e tipici del Giappone che sono simbolo di perseveranza e coraggio.

Nella cultura europea, complice la mitologia scandinava, draghi e dragoni non godono di una buona reputazione.

Si tratta, almeno nella nostra cultura, di animali particolarmente feroci, estremamente potenti e che mettono questo potere al servizio del male. Nella cultura giapponese invece draghi e dragoni rivestono un ruolo diametralmente opposto: animali forti è longevi, longevità che è causa prima della loro estrema saggezza.

Ed è questo il significato più profondo dei tatuaggi che rappresentano dei draghi e dei dragoni. Sono animali millenari che portano con loro la saggezza che il tatuato vuole assumere con un tatuaggio che li rappresenta.

Le carpe che conosciamo in Occidente, almeno quelle appartenenti alla razza giapponese, sono immaginate come animali particolarmente colorati, caso che però non è quello dei tatuaggi tradizionali giapponesi. I colori più utilizzati sono il bianco, l’oro, il giallo, l’arancio, il bianco e il blu insieme, che rappresentano nelle diverse combinazioni diversi tipi di buoni auspici per chi porta il tatuaggio.
È con le tigri che nella cultura giapponese si fonde con quella cinese.
Le tigri rappresentano forza coraggio e longevità, tutte qualità che il tatuato desidererebbe raggiungere successivamente al tatuaggio.



Le tigri sono uno degli quattro animali sacri, simbolo del Nord e che rappresentano inoltre l’autunno e il controllo dei venti, particolarmente importante per un popolo che si affida al mare come principale mezzo di sostentamento.

Anche i leoni sono animali particolarmente importanti per la cultura giapponese.

La religione shintoista, religione particolarmente diffusa in Giappone, ha un leone protettore che ha una testa rossa e che tiene lontani gli spiriti maligni, portando ricchezza e salute.

Nonostante non si tratti di un animale appartenente originariamente alla cultura giapponese, la fenice è entrata grazie al contatto con la cultura occidentale e nordafricana anche della tradizione giapponese.

Siamo davanti ad un uccello leggendario, capace di rinascere dalle proprie ceneri e per questo non soltanto simbolo di longevità e immortalità, ma anche e soprattutto di rinascita, rinascita spirituale e fisica.

Gli Oni sono spiriti che vivono in gruppo e al quale appartengono anche divinità come quella del vento e quella del fulmine. Questi spiriti vengono tatuati perché non hanno solo significato maligno, ma perché possono diventare in alcuni casi dei protettori benevolenti, protettori che si rifanno e sono ammirati da figure monastiche molto popolari nella cultura giapponese più tradizionale.

Chi si tatua uno di questi demoni cerca come nella tradizione apotropaica europea, protezione dagli stessi.

Il teschio, che nella cultura europea rappresenta in genere rabbia, paura, pericolo, o morte, nella cultura giapponese non rappresenta nessuna di queste cose.

Nella cultura giapponese il teschio vuol dire innanzitutto cambiamento o celebrazione di una grande vita.

Nella nostra cultura una testa mozzata è un simbolo particolarmente macabro.

Anche qui ci troviamo ad un cambio di paradigma nella cultura giapponese: la testa mozzata può infatti simboleggiare non solo un avviso ai nemici, ma anche la volontà di accettare il proprio fato con onore, accettazione che è alla base della cultura samurai.

Non sono rituali macabri dunque ma anche un elemento del cerchio della vita, ad esempio a simboleggiare quando una testa viene tagliata dal corpo di un nemico con estremo rispetto, tipico della tradizione guerriera Giapponese.

Nella nostra cultura, intrisa di simbologia ebraica e cristiana, il serpente ha una pessima reputazione. Ci troviamo davanti infatti all’animale che nell’Eden aveva offerto la mela, animale  da sempre simbolo di Satana, il tentatore per eccellenza.

Per i giapponesi invece il serpente sta a significare acutezza e attenzione al dettaglio, capacità di affilare la propria mente e diventare monaci, guru, personaggi filosofici o religiosi.

Non solo però un simbolo meditativo, il serpente in Giappone è anche riconosciuto come animale con una velocità particolarmente elevata nel prendere decisioni ed agire, uno degli animali più temibili dell’intera fauna.

Il fiore di loto è un fiore intriso di simbologia in praticamente tutte le religioni asiatiche, specialmente quelle che partono dall’India.

Il loto è da sempre simbolo di un risveglio, il significato della vita stessa. Nella tradizione giapponese è spesso anzi spessissimo raffigurato in compagnia di un Koi, la carpa giapponese.

La maschera Hannya è una maschera del teatro tradizionale kabuki che raffigura una donna che per un amore non corrisposto si è vendicata del suo “non amante” e si è lasciata così consumare dalla rabbia .Questa maschera non ha un significato malevolo, anzi, tutto il contrario. Questo tipo di tatuaggio si dice che allontani gli spiriti maligni e che porti buona fortuna alle persone che li indossano sulla loro pelle.



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martedì 5 luglio 2016

ORNAMENTI AFRICANI



Deformazioni e mutilazioni del corpo. - Quasi tutti i popoli della terra tendono a modificare la forma naturale del corpo: a questo fine si praticano deformazioni e mutilazioni alle quali l'uomo si sottopone sotto l'influenza della moda, delle abitudini, di idee mistiche e religiose, di sentimenti di vanità o d'orgoglio, di aberrazione dei sensi. Le ragioni che determinarono l'uso di deformare o mutilare il corpo sono di natura assai varia e talvolta complessa; tuttavia, specialmente nei popoli primitivi, si usa di praticare la maggior parte delle deformazioni e mutilazioni, soprattutto quelle dei genitali, durante le cerimonie d'iniziazione, cioè quando i giovani sono ammessi nel consorzio della tribù e sono giudicati capaci d'incominciare la vita sessuale.

Presso molti popoli primitivi si usa, durante la cerimonia d'iniziazione, di dipingere in vario modo il corpo. A questo rito, che traccia solo segni facilmente cancellabili, si associa spesso la pratica delle cicatrici ornamentali destinate a conservare indelebili sulla pelle alcuni dei segni che la pittura vi aveva tracciato solo temporaneamente.

Le cicatrici ornamentali (ovvero la scarificazione come modifica ornamentale del volto o del corpo) erano utilizzate in molte culture africane; come le tecniche di pigmentazione cutanea, avevano spesso un valore religioso e culturale prima che estetico. La pratica è in netta diminuzione, anche se persiste tra le popolazioni meno in contatto con il mondo esterno. La pratica continua ad essere usata nei centri urbani, ma ha assunto una valenza nuova. Là dove le cicatrici prodotte sono ancora collegate a valori culturali ancestrali, si nota una diminuzione delle aree corporee interessate e la mancata riproduzione di alcuni disegni popolari nel passato. Questa pratica non va confusa con quella del tatuaggio, con cui condivide alcuni tratti culturali e alcune tecniche di realizzazione.

È certo che la modificazione del corpo con ferite, mutilazioni e pigmentazioni sia una pratica antica quanto l'essere umano. Le pitture rupestri che si trova in tutta l'Africa, spesso mostrano la figura umana con colori e disegni applicati volutamente sul corpo. I disegni di Tassili, nel deserto del Sahara, e datati circa 8.000 a.C., sono i più antichi finora scoperti a riportare il disegno del corpo umano con chiari segni di cicatrizzazioni ornamentali. Alcune terrecotte di cultura ife (Nigeria) e sculture di rame della stessa area culturale, datate all'XI secolo e terrecotte di cultura owo del XV secolo, mostrano le riproduzioni di corpi coperti da cicatrici ornamentali dello stesso tipo registrato dagli antropologi presso la coltura yoruba negli ultimi secoli. Le testimonianze di questa pratica non sono numerose perché non tutte le culture africane hanno sviluppato forme artistiche che riproducessero il corpo umano. È noto come questo tipo di arte sia più presente nelle culture che si affacciano sul Golfo di Guinea che non in altre aree geografiche. Esistono però i disegni di esploratori e missionari, e più tardi fotografie, che hanno iniziato una lenta penetrazione dell'Africa a partire dal XVI secolo. Da queste testimonianze si evince che il fenomeno delle cicatrici ornamentali era diffuso in tutta l'Africa subsahariana.

Le cicatrici ornamentali si ottengono incidendo la pelle con un oggetto acuminato e o affilato, sollevando la cute e inserendo oggetti, colori o altre sostanze e lasciando poi che la ferita guarisca. Tutte le culture che hanno usato la scarificazione si sono rifatte a questo modello, variando anche grandemente nel tipo di utensili e materiale usato. La varietà delle metodologie ha voluto dire una diversificazione del tipo di ferita e del tipo di disegno che appariva a lavoro ultimato.

Le ferite potevano essere in rilievo o semplicemente dentate, lineari o globulari. La ferita veniva procurata usando punte di freccia, coltelli, pietre affilate, o persino i gusci del cocco. In alcune aree della costa occidentale, ami da pesca venivano introdotti sotto la cute e poi sollevati, per ottenere delle cicatrici rotondeggianti. In altri casi, una linea continua veniva tagliata sulla superficie del corpo. Lungo questa linea venivano poi introdotti striscioline di foglie piegate a forma di cuscinetto, oppure il picciolo di alcune piante, oppure ancora dei piccoli pezzi di legno a forma di piolo. Sostanze vegetali venivano iniettate per mantenere viva l'irritazione della pelle per lungo tempo, e formare quindi una cicatrice più voluminosa. In altri casi, il succo di alcune piante veniva iniettato per dare una colorazione particolare alla ferita. Tra queste sostanze, la più famosa è l'henné, usato in tutta l'Africa orientale come colorante, e anche per il disegno di tatuaggi temporanei. In altre aree geografiche si usavano le ceneri di un falò, polvere di carbone, inchiostri vegetali (come l'abotiko usato in Nigeria), e – dopo l'arrivo degli occidentali – polvere da sparo.

Le ferite venivano arrangiate seguendo dei disegni particolari. Tutte le aree del corpo – eccetto le semimucose – potevano essere interessate da queste cicatrici. Le cicatrici vengono chiamate cheloidi (cicatrice più grande della ferita iniziale) o ipertropiche (cicatrice più piccola della ferita iniziale).

Per alcuni popoli, le ferite facciali erano un segno di appartenenza clanica. Il disegno dava quindi importanti informazioni riguardanti il clan, la posizione sociale e l'identità della persona. Presso altri popoli, le cicatrici portate da una ragazza testimoniavano il suo ruolo sociale (pubertà, iniziazione, matrimonio), ma erano anche segno di bellezza. Ad esempio, i tiv della Nigeria sostengono che una donna con molte cicatrici è da preferirsi ad altre perché più fertile. In realtà, il significato delle cicatrici ornamentali è multiplo, con alcune spiegazioni popolari sviluppate per coprire e per non comprensione delle ragioni più importanti, sociali e spirituali, che sottostanno al processo – lungo e doloroso – della cicatrizzazione.

Tra gli yoruba della Nigeria, gli studiosi hanno potuto isolare 24 diversi disegni di base usati nel produrre cicatrici ornamentali. Solo alcuni di questi disegni venivano usati per le famiglie regali e nobili, servendo quindi da segnale di ruolo sociale. Tra i denka e gli shilluk del Sudan, la presenza di cicatrici sul corpo sottolinea la forza, la resistenza e la disponibilità di mettere queste doti a servizio del proprio popolo.

Nei secoli XVIII e XIX, molte etnie dell'Africa occidentale hanno usato i disegni o altri tipi di mutilazioni facciali per riconoscere i componenti della propria famiglia in caso gli attacchi degli schiavisti avessero diviso i vari clan, ma anche per rendere meno appetibile la persona e quindi salvarla dalla schiavitù. Da questo si capisce che il disegno, o la mutilazione, hanno sia il compito di permettere un'identificazione, che quello di rendere indesiderabile la persona ai membri di un gruppo ostile.

La funzione delle cicatrici ornamentali in campo religioso è accertata in molti casi. Tra i popoli che seguono il vudù – area geografica comprendente Nigeria, Ghana Togo, Benin, e aree limitrofe – l'appartenenza ad una ‘casa' del vudù è data anche dal disegno che compare sul corpo dell'iniziato. Quando le cicatrici hanno un ruolo nei riti di iniziazione, è chiaro che hanno anche un significato religioso. L'iniziato viene inserito nel cosmo dell'etnia, impara le regole che permettono il permanere dell'armonia cosmica e quindi le ferite presenti sul suo corpo indicano anche la sua comunione con Dio e con gli antenati. Presso molti popoli, la persona incaricata del sacro deve avere o il corpo integro – le cicatrici sarebbero un limite – o delle mutilazioni particolari che sottolineano il suo stato.

Presso i popoli dell'Africa occidentale, alcune medicine vengono somministrate al malato usando la cicatrizzazione. Le foglie inserite nella ferita hanno potere medicinale e faciliteranno la cura del malato. Altre volte, il succo vegetale a cui si dà un potere medico viene iniettato in una ferita prima della sua cicatrizzazione per poter essere assorbito da corpo del malato. In caso di bambini nati morti o morti subito dopo il parto, gli yoruba praticano tre ferite sulle spalle. Quando questi bambini si riencarneranno, alla nascita verranno riconosciuti e curati prima che muoiano nuovamente. In Togo, pazienti sofferenti di epilessia vengono curati con la produzione di cicatrici sulla fronte o in altri luoghi della testa privi di capelli. Si crede che questo possa rimuovere la malattia. Lo stesso viene fatto da altri popoli per curare la psoriasi, dermatiti che portano alla scolorazione della pelle, malattie dell'apparato respiratorio, ecc.

Pur non rientrando nel campo delle cicatrici ornamentali, è bene ricordare che la modificazione del corpo per motivi sociali o religiosi è ampiamente praticata in tutta l'Africa. Quasi tutti i popoli pastoralisti dell'Africa orientale prevedono il taglio dei lobi dell'orecchio e il progressivo allargamento del foro praticato. I lobi possono essere abbelliti con perline o orecchini. Questo è tipico tra i masai, pokot, karamojong, e altri popoli. Le labbra possono subire un simile trattamento. In questo caso, un pezzo di legno di misura sempre più grande viene posto nella ferita per allargarla. Tra i gruppi nilotici alcuni si perforavano la carne sotto il labbro inferiore, il buco veniva poi chiuso con un tappo di legno o corno. Tra i kalenjin del Kenya, ma anche tra altri gruppi pastoralisti, uno o due denti di un adulto vengono tolti, per poter alimentare la persona in caso di paralisi tetanica (questa almeno è la spiegazione popolare). A questa lista vanno aggiunte altre mutilazioni: sessuali (circoncisione, mutilazioni sessuali femminili), del naso, dei piedi; e modificazioni corporee: modificazione del cranio con fasciature strette praticate sin da bambini (Congo nord-orientale).

La pratica delle cicatrici ornamentali è in netto calo. Persiste solo nelle aree più lontane dalle zone urbane e ha di solito perso molto del suo significato sociale e religioso. È invece in netta crescita il fenomeno dei tatuaggi, soprattutto nelle grandi città. È questo un fenomeno che può essere ricondotto sia all'occidentalizzaione, che alla riscoperta di una pratica che è stata presente in Africa per migliaia di anni.Oltre ad avere un significato religioso, le cicatrici venivano considerate marchi della propria tribù.

Si possono distinguere tre gradi di mutilazione del sistema pilifero: tagliatura dei capelli e della barba, rasatura, depilazione. L'uso di accorciare i capelli e la barba e di radersi la faccia è pratica comune ai popoli di civiltà più alta; il taglio dei capelli, com'è noto, è ora praticato, presso i popoli ad alta civiltà, anche nel sesso femminile. La rasatura dei peli del pube e delle ascelle si osserva di frequente nei popoli meno pelosi, cioè in Africa e Asia orientale; in Africa gli uomini radono qualche volta anche i capelli: abitudine probabilmente igienica, ma dipendente spesso dalla moda, giacché in una stessa popolazione, come fra i Somali, si trovano tribù che curano scrupolosamente le lunghe capigliature (Hauia) e gruppi che tendono a radersi i capelli (Dir e Darod). In America invece, in Asia occidentale, nell'Arcipelago Malese, in Oceania si usa la depilazione, per strappamento con pinze di metallo, dei peli delle ascelle e del pube, anche in gruppi che hanno una pelosità abbondante e capelli lunghi e folti (Australiani). Nell'Africa del nord (Arabo-Berberi) si ottiene lo stesso scopo applicando polveri o speciali impiastri di radici, usanza probabilmente importata dagli Arabi in quella regione e forse anche in Europa.

Nel Senegal e nell'Uganda si usa ingrassare artificialmente le donne fino a che raggiungano l'obesità in un grado tanto avanzato da non potersi più reggere in piedi.

Il setto nasale, in alcuni gruppi umani, subisce una perforazione simile a quella del lobulo dell'orecchio e, come in questa, il piccolo foro iniziale viene poco a poco ingrandito fino a poter introdurre nel setto oggetti abbastanza voluminosi, come bastoncelli di osso o di conchiglia, grossi denti di cinghiale, frammenti di lamiera di ferro, cerchietti di metallo, ecc. Questi ornamenti più voluminosi e pesanti non sono però portati altro che in occasione di cerimonie o in assetto guerresco: nella vita quotidiana si tiene infisso nel foro nasale un semplice bastone di legno per impedire che l'apertura si restringa. Il bastone nasale è ornamento costante in tutti i gruppi oceanici Australiani, Melanesiani, Polinesiani e Micronesiani; è ugualmente diffuso in Africa, eccezion fatta per la regione nord-orientale (Etiopici e popoli vicini) e per l'Africa mediterranea (Arabo-Berberi); tra i popoli occidentali dell'America Settentrionale (Huastec, Denè), in tutta la regione nord-occidentale dell'America Meridionale e fino al centro del Brasile e fra i Tehuelche e i Mocovi. Invece del setto nasale si usa in alcune regioni di perforare una delle narici, tenendo passato nel foro un anello di metallo o un bottone in filigrana d'argento ornato di qualche pietra preziosa: pratica largamente diffusa nelle donne dell'India e nei due sessi tra gli Arabi e Arabo-Berberi; alcuni Melanesiani (Arcipelago di Bismarck) aggiungono questa perforazione a quella del setto, già descritta. Tra i Botocudo del Brasile si usa anche di schiacciare con il pollice le ossa nasali al neonato; la stessa deformazione è praticata alla nascita, tra gl'indigeni della Nuova Caledonia (Gosse e Montrouzier).



La perforazione delle labbra è assai meno diffusa di quella del naso: Paolo Mantegazza scriveva: "Mentre in Africa si tormenta più il naso, in America si preferisce mettere alla tortura le labbra". Infatti tanto nell'America Settentrionale (Nahua, Otomi, Athabasca, Eschimesi e i gruppi dell'estremo nord-ovest) quanto nell'America Centrale (Bribri) e Meridionale (Caribi, Sengua, Caingua, Botocudo, Chiriguano, Toba), si usa nelle cerimonie d'iniziazione di perforare il labbro inferiore e di introdurvi ornamenti (detti tembette) di due forme: o un bastoncello di resina filante di una conifera che scende verticalmente al disotto del mento (Caingua) o un disco di legno o di stagno ornato di smalti o di malachiti (Botocudo); talvolta sono forate tutte e due le labbra e in ciascuna è introdotto un largo disco di legno o di metallo, così che le due labbra sporgono enormemente e, quando il paziente parla, i dischi cozzano fra di loro assai rumorosamente. In Africa la perforazione delle labbra è assai meno diffusa: si pratica nel Sudan, nella regione orientale tra il Niassa e la costa, in qualche gruppo a O. del Lago Edoardo e del Tanganica e in qualche tribù del Congo francese, ed è mutilazione propria delle sole donne; sulle quali raggiunge, specie tra i Sara, uno sviluppo massimo (femmes à plateau). Infine tra le mutilazioni delle labbra deve segnalarsi la perforazione dei due angoli della bocca praticata dagli Eschimesi e dalle tribù del NO. dell'America Settentrionale, che vi introducono dei piccoli dischi d'osso.

I denti sono avulsi presso molti popoli durante la cerimonia d'iniziazione. L'avulsione avviene per rottura con un colpo secco di uno scalpello di pietra; i denti avulsi sono generalmente gl'incisivi superiori: talvolta i due mediani, talvolta tutti e quattro o nel mascellare superiore o nell'inferiore. Tale mutilazione si pratica in Australia orientale e nell'isola di Formosa durante la cerimonia d'iniziazione ed è anche molto diffusa nell'Africa centrale e orientale. Nell'isola Engano si pratica la mutilazione dei canini superiori solamente sulle donne dopo che si sono sposate (Modigliani). Un'altra mutilazione del sistema dentario molto diffusa è la così detta limatura degli incisivi, anch'essa connessa alla cerimonia d'iniziazione: gl'incisivi vengono rotti con una piccola forbice o con un martello dando luogo a deformazioni molto varie o togliendo gli angoli interni del dente o tutti gli angoli dei due incisivi mediani o di tutti e quattro, sia nel mascellare superiore sia nell'inferiore sia in tutti e due, e i denti divengono appuntiti. È mutilazione molto diffusa in Africa nella regione del Congo, lungo le coste orientali e in qualche punto della costa nord-occidentale, in tutta l'Indonesia e nella penisola di Malacca e tra i Moi dell'Indocina. La limatura è praticata anche in America presso alcuni gruppi dei fiumi Mackenzie e Anderson, dell'isola di Vancouver e del Messico (Huastec), nell'America Centrale (Maya, Totonac, Guaymi, Olmechi) e nell'America Meridionale fra gli Aymará, gli Atacameno e nell'Ecuador. Presso alcuni popoli dell'Asia sud-orientale (Khmer, Siamesi, Shan, Mon, Karen, Naga) e dell'Indonesia, durante la cerimonia d'iniziazione, oltre alla limatura degl'incisivi si pratica l'annerimento dei denti; nell'Arcipelago di Bismarck i denti si anneriscono più tardi dell'iniziazione. A Mentawei si lima la faccia anteriore degli incisivi e dei canini, sì da lasciare, in prossimità del margine inferiore, un piccolo orlo che sporge di qualche millimetro; la superficie del dente è annerita (Modigliani).

Presso gli Huastec e i Maya si usava l'intarsio dei denti, praticando negli incisivi dei fori ove venivano incastrate pietre preziose e smalti; l'intarsiatura è praticata anche fra i Totonac e gli Olmechi e nell'Ecuador: è diffusa, insieme con la pratica di indorare i denti, in Indonesia (Bataki, Daiaki, Igorote, Toragia, Timor, Letti).

Le deformazioni del tronco: va rapidamente scomparendo in Europa e negli altri paesi a civiltà alta l'abitudine che avevano le donne di portare la fascetta o busto, specie di gabbia di stoffa resistente sulla quale erano cucite stecche di acciaio o di balena che si stringeva fortemente alla vita, producendo deformazioni costanti e specialmente accentuando l'obliquità della testa del femore. In alcune isole dell'Indonesia (Formosa, Filippine, Ceram), tra i Naga dell'Assam e nella Nuova Guinea una simile deformazione è in uso tra gli uomini che, mediante fasce, si legano fortemente le anche.

È stata descritta presso i Ghimirra anche una perforazione dell'orlo della cicatrice ombelicale con introduzione di cerchietti metallici (Montandon). In molti gruppi africani (Congo, costa occidentale, costa orientale) le donne usano allungare volontariamente le mammelle con l'applicazione di una larga fascia che cinge loro il petto e costringe in basso il seno. La stessa deformazione è stata osservata, con lo stesso sistema, presso le donne Paiaguá del Paraguay. Le ragazze di alcune tribù della Guinea e del Sudan francese appena il seno incomincia a sviluppare hanno l'abitudine di farsi pungere il capezzolo da grosse formiche: la puntura produce un'infiammazione e un rigonfiamento del capezzolo che rimane molto sporgente sul resto della mammella (Godel).

La vera e propria mutilazione del seno, che, secondo gli antichi autori, le Amazzoni praticavano da un solo lato, è praticata bilateralmente dalle donne appartenenti alla sètta russa degli Skopcy, i cui adepti maschili praticano l'evirazione.

La resezione di tutto o di parte del prepuzio è pratica estesa a molti popoli della terra: molti popoli primitivi usano ancora la semplice incisione del prepuzio; diffusa specialmente in Indonesia (Filippine, Molucche, Celebes) nella Nuova Guinea, nella Nuova Britannia, nelle isole dell'Ammiragliato, Nuove Ebridi, Nuova Caledonia, Figi e in Polinesia. L'incisione si deve, probabilmente, considerare come una pratica che ha preceduto la vera e propria circoncisione.

La circoncisione,  cioè la completa resezione del prepuzio, è molto estesa in Africa e nei popoli nomadi, semitici e camitici; non era praticata dagli Assiro-Babilonesi, manca nei Galla, in molte tribù Berbere e nei Bahima. Secondo lo Schmidt, il fatto che essa manchi presso questi popoli nomadi mostrerebbe che proviene da un'altra civiltà assai più antica. Nelle regioni del mondo antico dove l'influenza delle religioni ebraica e musulmana è stata più lunga e più estesa, la circoncisione è molto diffusa e spesso, come in Africa, ove si può dire che quasi tutti i popoli la pratichino, la circoncisione primitiva e la ebraico-musulmana vengono a contatto e si compenetrano. In Asia, per quel che si riferisce al continente, si conosce soltanto la circoncisione maomettana: ma nell'Indonesia esiste anche presso gruppi non maomettani. Nell'America la circoncisione era pressoché sconosciuta, giacché si praticava solo nelle tribù Eschimesi orientali, nel Messico antico e in qualche tribù della costa atlantica (Totonac). Anche d'origine primitiva è la circoncisione in Oceania: in Australia è diffusa nella regione centrale e manca nella zona orientale e nella occidentale; si pratica nella Nuova Guinea, nelle Isole Figi, e, in passato, era in uso anche a Tahiti.

In tutta l'Australia, eccezion fatta per la zona più orientale e per la costa occidentale, nelle cerimonie d'iniziazione si usa di incidere per il lungo, con un coltello di pietra o di vetro, l'uretra; questa mutilazione, detta mika o ariltha, si pratica anche nelle isole Viti ma fra i trenta e i quarant'anni, anziché alla pubertà.

Presso molti popoli maomettani, specialmente tra gli Arabi e i musulmani d'Africa, è in uso all'inizio della pubertà la cosiddetta circoncisione femminile, cioè la escissione della clitoride (clitoridectomia): anche nella Guinea e nel Sudan francese, presso gruppi non maomettani, alla nascita è abitudine di strappare con le unghie la clitoride. In taluni gruppi etiopici (Somali, Danachili), in qualche popolazione nilotica (Sudanesi dei dintorni di Khartum) e presso i gruppi negri della Somalia (Scidle, Sciaveli, Suaheli), insieme con la clitoridectomia si pratica, nelle bambine fra i sette e gli otto anni, la infibulazione tagliando la faccia interna delle grandi labbra per tutta la loro lunghezza; si fasciano poi strettamente le gambe l'una contro l'altra e si mantiene questa legatura per circa otto giorni fino a che i due lati non si sono saldati insieme: qualche volta si aiuta la rimarginazione con una cucitura o con l'infissione di spine vegetali. Sebbene Duhousset descriva questa pratica anche presso gli Arabi di Siene, è certo che gli arabo-berberi dell'Africa settentrionale e gli Arabi d'Arabia non usano di infibulare le proprie donne.

Mantegazza chiama fimosi artificiale la copertura forzata del glande con introduzione nel prepuzio di anelli di metallo, che, in segno di castità è usata presso taluni asceti musulmani.

L'asportazione di un solo testicolo (monorchia), generalmente il sinistro, è praticata da alcuni popoli dell'Africa (Begia, Masai, Ottentotti) con l'idea d'impedire i parti gemelli. Presso i Daiaki e i Malesi si fora trasversalmente il glande con un punteruolo di metallo; nel foro si mantiene continuamente una bacchetta d'osso, che vien sostituita, al momento opportuno, da un'altra bacchettina (ampalang o kalang) che porta assicurate, alle due estremità, rotelle di legno o piccoli ciuffi di penne: in alcune tribù si adoperano fino a tre ampalang. I Bataki di Sumatra hanno l'abitudine d'introdurre per mezzo di piccole incisioni, alcune pietruzze sotto la pelle dell'organo che, una volta cicatrizzata, ne impedisce l'uscita.

L'ultima falange di un dito della mano è asportata nelle Australiane e nelle Boscimane: nelle Australiane si taglia l'ultima falange dell'indice della mano destra all'epoca della prima mestruazione, in genere nella cerimonia d'iniziazione; nelle donne Boscimane si porta via l'ultima falange del mignolo, più spesso della mano destra, talvolta delle due mani.

Molte deformazioni preterintenzionali del piede (deviazione del pollice, sovrapposizione e schiacciamento delle altre dita) sono prodotte nei popoli civili dall'uso della scarpa. In Cina era in uso la deformazione intenzionale del piede della donna. La tipica deformazione del piede era praticata in Cina con maggior cura nelle famiglie ricche nelle quali s'incominciava l'operazione sulle bambine di quattro anni; nelle più povere, dove si aveva soltanto una deformazione parziale, s'iniziava la pratica più tardi: in ogni modo essa veniva fatta sempre entro i primi dieci anni di vita e in media tra i cinque e i sei. Il piede deformato della donna cinese era corto e aveva la vòlta esageratamente alta: la faccia dorsale era stretta e molto lunga e il piede si assottigliava verso la punta costituita soltanto dal pollice: le altre dita erano ripiegate sotto la pianta in modo che sulla faccia dorsale appariva soltanto la prima falange del secondo dito. Se si esaminava la pianta del piede, si notava che il calcagno dalla sua posizione normale orizzontale era deviato fino ad assumere una posizione pressoché verticale e a toccare con la sua faccia plantare la faccia plantare del metatarso, che aveva subita la stessa deviazione da orizzontale a verticale. La deformazione in uso presso le classi più povere si limitava al ripiegamento delle dita sotto la pianta senza deviazione del calcagno. Tali deformazioni s'iniziavano con un lento ripiegamento delle dita verso la pianta ottenuto con fasciatura forzata e si continuavano fino alla lussazione del calcagno e del metacarpo, che si piegavano l'uno verso l'altro mantenendo mediante fasciatura, tra le due facce plantari che dovevano venire a contatto, un piccolo cilindro di metallo. Il piede deformato di una cinese adulta aveva una lunghezza totale plantare oscillante dai 14 ai 16 centimetri.

La maggior parte delle deformazioni e mutilazioni del corpo si riannodano, presso i popoli primitivi, al rito d'iniziazione; però, se si esamina come esse si distribuiscono, si può notare che compaiono soltanto in certi gradi di civiltà che corrispondono assai esattamente a determinate culture. Se ci basiamo sulla classificazione dei cicli culturali del P. Schmidt, troviamo che, mentre nella più primitiva delle civiltà primitive (ciclo culturale monogamico-esogamico: cultura dei Pigmei e Pigmoidi) manca assolutamente ogni deformazione o mutilazione del corpo e non si ha nemmeno la pittura, nella cultura immediatamente superiore (esogamica a totemismo sessuale: cultura tasmaniana) compaiono nelle cerimonie d'iniziazione le cicatrici ornamentali e la perforazione del setto nasale: nella cultura del bumerang (Australia, Africa specialmente nell'alto Nilo e nel Sudan) si aggiunge, sempre negli stessi riti, l'avulsione degli incisivi. Nelle seguenti culture secondarie la sola cultura esogamica patriarcale totemistica (Nuova Guinea occidentale, Australia, Melanesia, Africa orientale, America) ha deformazioni e mutilazioni connesse con i soliti riti, così che compaiono la circoncisione, l'incisione, la subincisione, la depilazione e la pittura del corpo. Nelle due seguenti culture secondarie matriarcali e nelle culture evolute, decadono o cessano i riti d'iniziazione dei due sessi e si sostituiscono invece riti, senza mutilazioni, per la prima mestruazione delle ragazze: se qualche deformazione esiste si può sempre riportare a un residuo di cultura anteriore, e si vede che sono applicate anche alle donne.

La pittura corporea è stata una delle prime forme di espressione artistica dell’umanità.
All’alba dei mondo, i nostri antenati scoprono le terre colorate, il carbone di legna, il gesso, il succo delle bacche, il sangue degli animali e altre fonti di tintura e li utilizzano come un alfabeto del corpo: per impressionare il nemico in battaglia, camuffare il cacciatore, definire una posizione rituale o semplicemente sedurre.
Grazie alle decorazioni corporee, l’individuo cambia identità, si trasfigura, si sublima.
Ogni colore ha un significato.
Il bianco è generalmente associato al lutto o alla purificazione.
Il rosso, colore del sangue, è simbolo di energia vitale e fecondità.
Il nero, che evoca la notte ed il caos primordiale, simbolizza il mondo materiale.
Il carattere labile della pittura permette una continua trasformazione ed apre le porte alla fantasia.
Se nel mondo occidentale le mode contemporanee ne affievoliscono il significato, desacralizzandolo, in Africa molti gruppi etnici conservano con tenacia ed ostinazione le loro tradizioni, sfidando l’appiattimento della globalizzazione.
L’uso della pittura corporea durante le cerimonie è largamente diffuso, spesso in sostituzione delle maschere lignee.
Una delle più note è la danza del “Faux Lion” o falso leone (simb in lingua wolof).
Si tratta di una manifestazione popolare, organizzata in molte regioni del Senegal in occasione delle festività più importanti.
In origine si trattava di un rito di possessione, che risale all’epoca in cui il paese era ricoperto da fitte foreste.
Il cacciatore sopravvissuto all’attacco del leone veniva posseduto dal suo spirito, ruggiva, mangiava solo più carne cruda ed il suo corpo si ricopriva di pelo.
Doveva perciò essere guarito da un esorcista.
Ancora oggi nei villaggi o nei quartieri popolari delle città, il ruggito del leone terrorizza e riempie di frenesia tutta la popolazione.

Altrettanto importante è la festa della bellezza dei Peul Bororo in Niger (il Gerewol) che riunisce queste tribù nomadi del Sahel per una gara nuziale in occasione della quale i giovani pastori, con i volti coperti di ocra e le labbra annerite con il carbone o la grafite, spesso ricavata da vecchie pile, si contendono i favori delle fanciulle in età da marito.
Si tratta di uno dei riti di seduzione più antichi ed affascinanti dell’Africa.

Ma l’uso del corpo come una tavolozza è estremamente diffuso in tutto il continente africano.
In Mozambico le donne ricoprono il volto col “musiro”, un impasto ricavato dalle radici delle piante.
Queste maschere di bellezza, con il loro biancore, conferiscono sembianze spettrali.
Largo uso del colore, nonché di vari tipi di ornamenti quali piattelli labiali o auricolari, si osserva presso i popoli della bassa valle dell’Omo, nell’Etiopia meridionale.
Le donne Bassari del Senegal indossano spine di istrice nel setto nasale perforato.
Le Himba della Namibia impastano i capelli e cospargono il corpo con un impasto di ocra rossa e grasso animale.
I giovani Masai del Kenya e della Tanzania, durante i riti di passaggio all’età adulta, si aggirano nelle savane col volto sbiancato dal caolino.



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