martedì 5 luglio 2016

ORNAMENTI AFRICANI



Deformazioni e mutilazioni del corpo. - Quasi tutti i popoli della terra tendono a modificare la forma naturale del corpo: a questo fine si praticano deformazioni e mutilazioni alle quali l'uomo si sottopone sotto l'influenza della moda, delle abitudini, di idee mistiche e religiose, di sentimenti di vanità o d'orgoglio, di aberrazione dei sensi. Le ragioni che determinarono l'uso di deformare o mutilare il corpo sono di natura assai varia e talvolta complessa; tuttavia, specialmente nei popoli primitivi, si usa di praticare la maggior parte delle deformazioni e mutilazioni, soprattutto quelle dei genitali, durante le cerimonie d'iniziazione, cioè quando i giovani sono ammessi nel consorzio della tribù e sono giudicati capaci d'incominciare la vita sessuale.

Presso molti popoli primitivi si usa, durante la cerimonia d'iniziazione, di dipingere in vario modo il corpo. A questo rito, che traccia solo segni facilmente cancellabili, si associa spesso la pratica delle cicatrici ornamentali destinate a conservare indelebili sulla pelle alcuni dei segni che la pittura vi aveva tracciato solo temporaneamente.

Le cicatrici ornamentali (ovvero la scarificazione come modifica ornamentale del volto o del corpo) erano utilizzate in molte culture africane; come le tecniche di pigmentazione cutanea, avevano spesso un valore religioso e culturale prima che estetico. La pratica è in netta diminuzione, anche se persiste tra le popolazioni meno in contatto con il mondo esterno. La pratica continua ad essere usata nei centri urbani, ma ha assunto una valenza nuova. Là dove le cicatrici prodotte sono ancora collegate a valori culturali ancestrali, si nota una diminuzione delle aree corporee interessate e la mancata riproduzione di alcuni disegni popolari nel passato. Questa pratica non va confusa con quella del tatuaggio, con cui condivide alcuni tratti culturali e alcune tecniche di realizzazione.

È certo che la modificazione del corpo con ferite, mutilazioni e pigmentazioni sia una pratica antica quanto l'essere umano. Le pitture rupestri che si trova in tutta l'Africa, spesso mostrano la figura umana con colori e disegni applicati volutamente sul corpo. I disegni di Tassili, nel deserto del Sahara, e datati circa 8.000 a.C., sono i più antichi finora scoperti a riportare il disegno del corpo umano con chiari segni di cicatrizzazioni ornamentali. Alcune terrecotte di cultura ife (Nigeria) e sculture di rame della stessa area culturale, datate all'XI secolo e terrecotte di cultura owo del XV secolo, mostrano le riproduzioni di corpi coperti da cicatrici ornamentali dello stesso tipo registrato dagli antropologi presso la coltura yoruba negli ultimi secoli. Le testimonianze di questa pratica non sono numerose perché non tutte le culture africane hanno sviluppato forme artistiche che riproducessero il corpo umano. È noto come questo tipo di arte sia più presente nelle culture che si affacciano sul Golfo di Guinea che non in altre aree geografiche. Esistono però i disegni di esploratori e missionari, e più tardi fotografie, che hanno iniziato una lenta penetrazione dell'Africa a partire dal XVI secolo. Da queste testimonianze si evince che il fenomeno delle cicatrici ornamentali era diffuso in tutta l'Africa subsahariana.

Le cicatrici ornamentali si ottengono incidendo la pelle con un oggetto acuminato e o affilato, sollevando la cute e inserendo oggetti, colori o altre sostanze e lasciando poi che la ferita guarisca. Tutte le culture che hanno usato la scarificazione si sono rifatte a questo modello, variando anche grandemente nel tipo di utensili e materiale usato. La varietà delle metodologie ha voluto dire una diversificazione del tipo di ferita e del tipo di disegno che appariva a lavoro ultimato.

Le ferite potevano essere in rilievo o semplicemente dentate, lineari o globulari. La ferita veniva procurata usando punte di freccia, coltelli, pietre affilate, o persino i gusci del cocco. In alcune aree della costa occidentale, ami da pesca venivano introdotti sotto la cute e poi sollevati, per ottenere delle cicatrici rotondeggianti. In altri casi, una linea continua veniva tagliata sulla superficie del corpo. Lungo questa linea venivano poi introdotti striscioline di foglie piegate a forma di cuscinetto, oppure il picciolo di alcune piante, oppure ancora dei piccoli pezzi di legno a forma di piolo. Sostanze vegetali venivano iniettate per mantenere viva l'irritazione della pelle per lungo tempo, e formare quindi una cicatrice più voluminosa. In altri casi, il succo di alcune piante veniva iniettato per dare una colorazione particolare alla ferita. Tra queste sostanze, la più famosa è l'henné, usato in tutta l'Africa orientale come colorante, e anche per il disegno di tatuaggi temporanei. In altre aree geografiche si usavano le ceneri di un falò, polvere di carbone, inchiostri vegetali (come l'abotiko usato in Nigeria), e – dopo l'arrivo degli occidentali – polvere da sparo.

Le ferite venivano arrangiate seguendo dei disegni particolari. Tutte le aree del corpo – eccetto le semimucose – potevano essere interessate da queste cicatrici. Le cicatrici vengono chiamate cheloidi (cicatrice più grande della ferita iniziale) o ipertropiche (cicatrice più piccola della ferita iniziale).

Per alcuni popoli, le ferite facciali erano un segno di appartenenza clanica. Il disegno dava quindi importanti informazioni riguardanti il clan, la posizione sociale e l'identità della persona. Presso altri popoli, le cicatrici portate da una ragazza testimoniavano il suo ruolo sociale (pubertà, iniziazione, matrimonio), ma erano anche segno di bellezza. Ad esempio, i tiv della Nigeria sostengono che una donna con molte cicatrici è da preferirsi ad altre perché più fertile. In realtà, il significato delle cicatrici ornamentali è multiplo, con alcune spiegazioni popolari sviluppate per coprire e per non comprensione delle ragioni più importanti, sociali e spirituali, che sottostanno al processo – lungo e doloroso – della cicatrizzazione.

Tra gli yoruba della Nigeria, gli studiosi hanno potuto isolare 24 diversi disegni di base usati nel produrre cicatrici ornamentali. Solo alcuni di questi disegni venivano usati per le famiglie regali e nobili, servendo quindi da segnale di ruolo sociale. Tra i denka e gli shilluk del Sudan, la presenza di cicatrici sul corpo sottolinea la forza, la resistenza e la disponibilità di mettere queste doti a servizio del proprio popolo.

Nei secoli XVIII e XIX, molte etnie dell'Africa occidentale hanno usato i disegni o altri tipi di mutilazioni facciali per riconoscere i componenti della propria famiglia in caso gli attacchi degli schiavisti avessero diviso i vari clan, ma anche per rendere meno appetibile la persona e quindi salvarla dalla schiavitù. Da questo si capisce che il disegno, o la mutilazione, hanno sia il compito di permettere un'identificazione, che quello di rendere indesiderabile la persona ai membri di un gruppo ostile.

La funzione delle cicatrici ornamentali in campo religioso è accertata in molti casi. Tra i popoli che seguono il vudù – area geografica comprendente Nigeria, Ghana Togo, Benin, e aree limitrofe – l'appartenenza ad una ‘casa' del vudù è data anche dal disegno che compare sul corpo dell'iniziato. Quando le cicatrici hanno un ruolo nei riti di iniziazione, è chiaro che hanno anche un significato religioso. L'iniziato viene inserito nel cosmo dell'etnia, impara le regole che permettono il permanere dell'armonia cosmica e quindi le ferite presenti sul suo corpo indicano anche la sua comunione con Dio e con gli antenati. Presso molti popoli, la persona incaricata del sacro deve avere o il corpo integro – le cicatrici sarebbero un limite – o delle mutilazioni particolari che sottolineano il suo stato.

Presso i popoli dell'Africa occidentale, alcune medicine vengono somministrate al malato usando la cicatrizzazione. Le foglie inserite nella ferita hanno potere medicinale e faciliteranno la cura del malato. Altre volte, il succo vegetale a cui si dà un potere medico viene iniettato in una ferita prima della sua cicatrizzazione per poter essere assorbito da corpo del malato. In caso di bambini nati morti o morti subito dopo il parto, gli yoruba praticano tre ferite sulle spalle. Quando questi bambini si riencarneranno, alla nascita verranno riconosciuti e curati prima che muoiano nuovamente. In Togo, pazienti sofferenti di epilessia vengono curati con la produzione di cicatrici sulla fronte o in altri luoghi della testa privi di capelli. Si crede che questo possa rimuovere la malattia. Lo stesso viene fatto da altri popoli per curare la psoriasi, dermatiti che portano alla scolorazione della pelle, malattie dell'apparato respiratorio, ecc.

Pur non rientrando nel campo delle cicatrici ornamentali, è bene ricordare che la modificazione del corpo per motivi sociali o religiosi è ampiamente praticata in tutta l'Africa. Quasi tutti i popoli pastoralisti dell'Africa orientale prevedono il taglio dei lobi dell'orecchio e il progressivo allargamento del foro praticato. I lobi possono essere abbelliti con perline o orecchini. Questo è tipico tra i masai, pokot, karamojong, e altri popoli. Le labbra possono subire un simile trattamento. In questo caso, un pezzo di legno di misura sempre più grande viene posto nella ferita per allargarla. Tra i gruppi nilotici alcuni si perforavano la carne sotto il labbro inferiore, il buco veniva poi chiuso con un tappo di legno o corno. Tra i kalenjin del Kenya, ma anche tra altri gruppi pastoralisti, uno o due denti di un adulto vengono tolti, per poter alimentare la persona in caso di paralisi tetanica (questa almeno è la spiegazione popolare). A questa lista vanno aggiunte altre mutilazioni: sessuali (circoncisione, mutilazioni sessuali femminili), del naso, dei piedi; e modificazioni corporee: modificazione del cranio con fasciature strette praticate sin da bambini (Congo nord-orientale).

La pratica delle cicatrici ornamentali è in netto calo. Persiste solo nelle aree più lontane dalle zone urbane e ha di solito perso molto del suo significato sociale e religioso. È invece in netta crescita il fenomeno dei tatuaggi, soprattutto nelle grandi città. È questo un fenomeno che può essere ricondotto sia all'occidentalizzaione, che alla riscoperta di una pratica che è stata presente in Africa per migliaia di anni.Oltre ad avere un significato religioso, le cicatrici venivano considerate marchi della propria tribù.

Si possono distinguere tre gradi di mutilazione del sistema pilifero: tagliatura dei capelli e della barba, rasatura, depilazione. L'uso di accorciare i capelli e la barba e di radersi la faccia è pratica comune ai popoli di civiltà più alta; il taglio dei capelli, com'è noto, è ora praticato, presso i popoli ad alta civiltà, anche nel sesso femminile. La rasatura dei peli del pube e delle ascelle si osserva di frequente nei popoli meno pelosi, cioè in Africa e Asia orientale; in Africa gli uomini radono qualche volta anche i capelli: abitudine probabilmente igienica, ma dipendente spesso dalla moda, giacché in una stessa popolazione, come fra i Somali, si trovano tribù che curano scrupolosamente le lunghe capigliature (Hauia) e gruppi che tendono a radersi i capelli (Dir e Darod). In America invece, in Asia occidentale, nell'Arcipelago Malese, in Oceania si usa la depilazione, per strappamento con pinze di metallo, dei peli delle ascelle e del pube, anche in gruppi che hanno una pelosità abbondante e capelli lunghi e folti (Australiani). Nell'Africa del nord (Arabo-Berberi) si ottiene lo stesso scopo applicando polveri o speciali impiastri di radici, usanza probabilmente importata dagli Arabi in quella regione e forse anche in Europa.

Nel Senegal e nell'Uganda si usa ingrassare artificialmente le donne fino a che raggiungano l'obesità in un grado tanto avanzato da non potersi più reggere in piedi.

Il setto nasale, in alcuni gruppi umani, subisce una perforazione simile a quella del lobulo dell'orecchio e, come in questa, il piccolo foro iniziale viene poco a poco ingrandito fino a poter introdurre nel setto oggetti abbastanza voluminosi, come bastoncelli di osso o di conchiglia, grossi denti di cinghiale, frammenti di lamiera di ferro, cerchietti di metallo, ecc. Questi ornamenti più voluminosi e pesanti non sono però portati altro che in occasione di cerimonie o in assetto guerresco: nella vita quotidiana si tiene infisso nel foro nasale un semplice bastone di legno per impedire che l'apertura si restringa. Il bastone nasale è ornamento costante in tutti i gruppi oceanici Australiani, Melanesiani, Polinesiani e Micronesiani; è ugualmente diffuso in Africa, eccezion fatta per la regione nord-orientale (Etiopici e popoli vicini) e per l'Africa mediterranea (Arabo-Berberi); tra i popoli occidentali dell'America Settentrionale (Huastec, Denè), in tutta la regione nord-occidentale dell'America Meridionale e fino al centro del Brasile e fra i Tehuelche e i Mocovi. Invece del setto nasale si usa in alcune regioni di perforare una delle narici, tenendo passato nel foro un anello di metallo o un bottone in filigrana d'argento ornato di qualche pietra preziosa: pratica largamente diffusa nelle donne dell'India e nei due sessi tra gli Arabi e Arabo-Berberi; alcuni Melanesiani (Arcipelago di Bismarck) aggiungono questa perforazione a quella del setto, già descritta. Tra i Botocudo del Brasile si usa anche di schiacciare con il pollice le ossa nasali al neonato; la stessa deformazione è praticata alla nascita, tra gl'indigeni della Nuova Caledonia (Gosse e Montrouzier).



La perforazione delle labbra è assai meno diffusa di quella del naso: Paolo Mantegazza scriveva: "Mentre in Africa si tormenta più il naso, in America si preferisce mettere alla tortura le labbra". Infatti tanto nell'America Settentrionale (Nahua, Otomi, Athabasca, Eschimesi e i gruppi dell'estremo nord-ovest) quanto nell'America Centrale (Bribri) e Meridionale (Caribi, Sengua, Caingua, Botocudo, Chiriguano, Toba), si usa nelle cerimonie d'iniziazione di perforare il labbro inferiore e di introdurvi ornamenti (detti tembette) di due forme: o un bastoncello di resina filante di una conifera che scende verticalmente al disotto del mento (Caingua) o un disco di legno o di stagno ornato di smalti o di malachiti (Botocudo); talvolta sono forate tutte e due le labbra e in ciascuna è introdotto un largo disco di legno o di metallo, così che le due labbra sporgono enormemente e, quando il paziente parla, i dischi cozzano fra di loro assai rumorosamente. In Africa la perforazione delle labbra è assai meno diffusa: si pratica nel Sudan, nella regione orientale tra il Niassa e la costa, in qualche gruppo a O. del Lago Edoardo e del Tanganica e in qualche tribù del Congo francese, ed è mutilazione propria delle sole donne; sulle quali raggiunge, specie tra i Sara, uno sviluppo massimo (femmes à plateau). Infine tra le mutilazioni delle labbra deve segnalarsi la perforazione dei due angoli della bocca praticata dagli Eschimesi e dalle tribù del NO. dell'America Settentrionale, che vi introducono dei piccoli dischi d'osso.

I denti sono avulsi presso molti popoli durante la cerimonia d'iniziazione. L'avulsione avviene per rottura con un colpo secco di uno scalpello di pietra; i denti avulsi sono generalmente gl'incisivi superiori: talvolta i due mediani, talvolta tutti e quattro o nel mascellare superiore o nell'inferiore. Tale mutilazione si pratica in Australia orientale e nell'isola di Formosa durante la cerimonia d'iniziazione ed è anche molto diffusa nell'Africa centrale e orientale. Nell'isola Engano si pratica la mutilazione dei canini superiori solamente sulle donne dopo che si sono sposate (Modigliani). Un'altra mutilazione del sistema dentario molto diffusa è la così detta limatura degli incisivi, anch'essa connessa alla cerimonia d'iniziazione: gl'incisivi vengono rotti con una piccola forbice o con un martello dando luogo a deformazioni molto varie o togliendo gli angoli interni del dente o tutti gli angoli dei due incisivi mediani o di tutti e quattro, sia nel mascellare superiore sia nell'inferiore sia in tutti e due, e i denti divengono appuntiti. È mutilazione molto diffusa in Africa nella regione del Congo, lungo le coste orientali e in qualche punto della costa nord-occidentale, in tutta l'Indonesia e nella penisola di Malacca e tra i Moi dell'Indocina. La limatura è praticata anche in America presso alcuni gruppi dei fiumi Mackenzie e Anderson, dell'isola di Vancouver e del Messico (Huastec), nell'America Centrale (Maya, Totonac, Guaymi, Olmechi) e nell'America Meridionale fra gli Aymará, gli Atacameno e nell'Ecuador. Presso alcuni popoli dell'Asia sud-orientale (Khmer, Siamesi, Shan, Mon, Karen, Naga) e dell'Indonesia, durante la cerimonia d'iniziazione, oltre alla limatura degl'incisivi si pratica l'annerimento dei denti; nell'Arcipelago di Bismarck i denti si anneriscono più tardi dell'iniziazione. A Mentawei si lima la faccia anteriore degli incisivi e dei canini, sì da lasciare, in prossimità del margine inferiore, un piccolo orlo che sporge di qualche millimetro; la superficie del dente è annerita (Modigliani).

Presso gli Huastec e i Maya si usava l'intarsio dei denti, praticando negli incisivi dei fori ove venivano incastrate pietre preziose e smalti; l'intarsiatura è praticata anche fra i Totonac e gli Olmechi e nell'Ecuador: è diffusa, insieme con la pratica di indorare i denti, in Indonesia (Bataki, Daiaki, Igorote, Toragia, Timor, Letti).

Le deformazioni del tronco: va rapidamente scomparendo in Europa e negli altri paesi a civiltà alta l'abitudine che avevano le donne di portare la fascetta o busto, specie di gabbia di stoffa resistente sulla quale erano cucite stecche di acciaio o di balena che si stringeva fortemente alla vita, producendo deformazioni costanti e specialmente accentuando l'obliquità della testa del femore. In alcune isole dell'Indonesia (Formosa, Filippine, Ceram), tra i Naga dell'Assam e nella Nuova Guinea una simile deformazione è in uso tra gli uomini che, mediante fasce, si legano fortemente le anche.

È stata descritta presso i Ghimirra anche una perforazione dell'orlo della cicatrice ombelicale con introduzione di cerchietti metallici (Montandon). In molti gruppi africani (Congo, costa occidentale, costa orientale) le donne usano allungare volontariamente le mammelle con l'applicazione di una larga fascia che cinge loro il petto e costringe in basso il seno. La stessa deformazione è stata osservata, con lo stesso sistema, presso le donne Paiaguá del Paraguay. Le ragazze di alcune tribù della Guinea e del Sudan francese appena il seno incomincia a sviluppare hanno l'abitudine di farsi pungere il capezzolo da grosse formiche: la puntura produce un'infiammazione e un rigonfiamento del capezzolo che rimane molto sporgente sul resto della mammella (Godel).

La vera e propria mutilazione del seno, che, secondo gli antichi autori, le Amazzoni praticavano da un solo lato, è praticata bilateralmente dalle donne appartenenti alla sètta russa degli Skopcy, i cui adepti maschili praticano l'evirazione.

La resezione di tutto o di parte del prepuzio è pratica estesa a molti popoli della terra: molti popoli primitivi usano ancora la semplice incisione del prepuzio; diffusa specialmente in Indonesia (Filippine, Molucche, Celebes) nella Nuova Guinea, nella Nuova Britannia, nelle isole dell'Ammiragliato, Nuove Ebridi, Nuova Caledonia, Figi e in Polinesia. L'incisione si deve, probabilmente, considerare come una pratica che ha preceduto la vera e propria circoncisione.

La circoncisione,  cioè la completa resezione del prepuzio, è molto estesa in Africa e nei popoli nomadi, semitici e camitici; non era praticata dagli Assiro-Babilonesi, manca nei Galla, in molte tribù Berbere e nei Bahima. Secondo lo Schmidt, il fatto che essa manchi presso questi popoli nomadi mostrerebbe che proviene da un'altra civiltà assai più antica. Nelle regioni del mondo antico dove l'influenza delle religioni ebraica e musulmana è stata più lunga e più estesa, la circoncisione è molto diffusa e spesso, come in Africa, ove si può dire che quasi tutti i popoli la pratichino, la circoncisione primitiva e la ebraico-musulmana vengono a contatto e si compenetrano. In Asia, per quel che si riferisce al continente, si conosce soltanto la circoncisione maomettana: ma nell'Indonesia esiste anche presso gruppi non maomettani. Nell'America la circoncisione era pressoché sconosciuta, giacché si praticava solo nelle tribù Eschimesi orientali, nel Messico antico e in qualche tribù della costa atlantica (Totonac). Anche d'origine primitiva è la circoncisione in Oceania: in Australia è diffusa nella regione centrale e manca nella zona orientale e nella occidentale; si pratica nella Nuova Guinea, nelle Isole Figi, e, in passato, era in uso anche a Tahiti.

In tutta l'Australia, eccezion fatta per la zona più orientale e per la costa occidentale, nelle cerimonie d'iniziazione si usa di incidere per il lungo, con un coltello di pietra o di vetro, l'uretra; questa mutilazione, detta mika o ariltha, si pratica anche nelle isole Viti ma fra i trenta e i quarant'anni, anziché alla pubertà.

Presso molti popoli maomettani, specialmente tra gli Arabi e i musulmani d'Africa, è in uso all'inizio della pubertà la cosiddetta circoncisione femminile, cioè la escissione della clitoride (clitoridectomia): anche nella Guinea e nel Sudan francese, presso gruppi non maomettani, alla nascita è abitudine di strappare con le unghie la clitoride. In taluni gruppi etiopici (Somali, Danachili), in qualche popolazione nilotica (Sudanesi dei dintorni di Khartum) e presso i gruppi negri della Somalia (Scidle, Sciaveli, Suaheli), insieme con la clitoridectomia si pratica, nelle bambine fra i sette e gli otto anni, la infibulazione tagliando la faccia interna delle grandi labbra per tutta la loro lunghezza; si fasciano poi strettamente le gambe l'una contro l'altra e si mantiene questa legatura per circa otto giorni fino a che i due lati non si sono saldati insieme: qualche volta si aiuta la rimarginazione con una cucitura o con l'infissione di spine vegetali. Sebbene Duhousset descriva questa pratica anche presso gli Arabi di Siene, è certo che gli arabo-berberi dell'Africa settentrionale e gli Arabi d'Arabia non usano di infibulare le proprie donne.

Mantegazza chiama fimosi artificiale la copertura forzata del glande con introduzione nel prepuzio di anelli di metallo, che, in segno di castità è usata presso taluni asceti musulmani.

L'asportazione di un solo testicolo (monorchia), generalmente il sinistro, è praticata da alcuni popoli dell'Africa (Begia, Masai, Ottentotti) con l'idea d'impedire i parti gemelli. Presso i Daiaki e i Malesi si fora trasversalmente il glande con un punteruolo di metallo; nel foro si mantiene continuamente una bacchetta d'osso, che vien sostituita, al momento opportuno, da un'altra bacchettina (ampalang o kalang) che porta assicurate, alle due estremità, rotelle di legno o piccoli ciuffi di penne: in alcune tribù si adoperano fino a tre ampalang. I Bataki di Sumatra hanno l'abitudine d'introdurre per mezzo di piccole incisioni, alcune pietruzze sotto la pelle dell'organo che, una volta cicatrizzata, ne impedisce l'uscita.

L'ultima falange di un dito della mano è asportata nelle Australiane e nelle Boscimane: nelle Australiane si taglia l'ultima falange dell'indice della mano destra all'epoca della prima mestruazione, in genere nella cerimonia d'iniziazione; nelle donne Boscimane si porta via l'ultima falange del mignolo, più spesso della mano destra, talvolta delle due mani.

Molte deformazioni preterintenzionali del piede (deviazione del pollice, sovrapposizione e schiacciamento delle altre dita) sono prodotte nei popoli civili dall'uso della scarpa. In Cina era in uso la deformazione intenzionale del piede della donna. La tipica deformazione del piede era praticata in Cina con maggior cura nelle famiglie ricche nelle quali s'incominciava l'operazione sulle bambine di quattro anni; nelle più povere, dove si aveva soltanto una deformazione parziale, s'iniziava la pratica più tardi: in ogni modo essa veniva fatta sempre entro i primi dieci anni di vita e in media tra i cinque e i sei. Il piede deformato della donna cinese era corto e aveva la vòlta esageratamente alta: la faccia dorsale era stretta e molto lunga e il piede si assottigliava verso la punta costituita soltanto dal pollice: le altre dita erano ripiegate sotto la pianta in modo che sulla faccia dorsale appariva soltanto la prima falange del secondo dito. Se si esaminava la pianta del piede, si notava che il calcagno dalla sua posizione normale orizzontale era deviato fino ad assumere una posizione pressoché verticale e a toccare con la sua faccia plantare la faccia plantare del metatarso, che aveva subita la stessa deviazione da orizzontale a verticale. La deformazione in uso presso le classi più povere si limitava al ripiegamento delle dita sotto la pianta senza deviazione del calcagno. Tali deformazioni s'iniziavano con un lento ripiegamento delle dita verso la pianta ottenuto con fasciatura forzata e si continuavano fino alla lussazione del calcagno e del metacarpo, che si piegavano l'uno verso l'altro mantenendo mediante fasciatura, tra le due facce plantari che dovevano venire a contatto, un piccolo cilindro di metallo. Il piede deformato di una cinese adulta aveva una lunghezza totale plantare oscillante dai 14 ai 16 centimetri.

La maggior parte delle deformazioni e mutilazioni del corpo si riannodano, presso i popoli primitivi, al rito d'iniziazione; però, se si esamina come esse si distribuiscono, si può notare che compaiono soltanto in certi gradi di civiltà che corrispondono assai esattamente a determinate culture. Se ci basiamo sulla classificazione dei cicli culturali del P. Schmidt, troviamo che, mentre nella più primitiva delle civiltà primitive (ciclo culturale monogamico-esogamico: cultura dei Pigmei e Pigmoidi) manca assolutamente ogni deformazione o mutilazione del corpo e non si ha nemmeno la pittura, nella cultura immediatamente superiore (esogamica a totemismo sessuale: cultura tasmaniana) compaiono nelle cerimonie d'iniziazione le cicatrici ornamentali e la perforazione del setto nasale: nella cultura del bumerang (Australia, Africa specialmente nell'alto Nilo e nel Sudan) si aggiunge, sempre negli stessi riti, l'avulsione degli incisivi. Nelle seguenti culture secondarie la sola cultura esogamica patriarcale totemistica (Nuova Guinea occidentale, Australia, Melanesia, Africa orientale, America) ha deformazioni e mutilazioni connesse con i soliti riti, così che compaiono la circoncisione, l'incisione, la subincisione, la depilazione e la pittura del corpo. Nelle due seguenti culture secondarie matriarcali e nelle culture evolute, decadono o cessano i riti d'iniziazione dei due sessi e si sostituiscono invece riti, senza mutilazioni, per la prima mestruazione delle ragazze: se qualche deformazione esiste si può sempre riportare a un residuo di cultura anteriore, e si vede che sono applicate anche alle donne.

La pittura corporea è stata una delle prime forme di espressione artistica dell’umanità.
All’alba dei mondo, i nostri antenati scoprono le terre colorate, il carbone di legna, il gesso, il succo delle bacche, il sangue degli animali e altre fonti di tintura e li utilizzano come un alfabeto del corpo: per impressionare il nemico in battaglia, camuffare il cacciatore, definire una posizione rituale o semplicemente sedurre.
Grazie alle decorazioni corporee, l’individuo cambia identità, si trasfigura, si sublima.
Ogni colore ha un significato.
Il bianco è generalmente associato al lutto o alla purificazione.
Il rosso, colore del sangue, è simbolo di energia vitale e fecondità.
Il nero, che evoca la notte ed il caos primordiale, simbolizza il mondo materiale.
Il carattere labile della pittura permette una continua trasformazione ed apre le porte alla fantasia.
Se nel mondo occidentale le mode contemporanee ne affievoliscono il significato, desacralizzandolo, in Africa molti gruppi etnici conservano con tenacia ed ostinazione le loro tradizioni, sfidando l’appiattimento della globalizzazione.
L’uso della pittura corporea durante le cerimonie è largamente diffuso, spesso in sostituzione delle maschere lignee.
Una delle più note è la danza del “Faux Lion” o falso leone (simb in lingua wolof).
Si tratta di una manifestazione popolare, organizzata in molte regioni del Senegal in occasione delle festività più importanti.
In origine si trattava di un rito di possessione, che risale all’epoca in cui il paese era ricoperto da fitte foreste.
Il cacciatore sopravvissuto all’attacco del leone veniva posseduto dal suo spirito, ruggiva, mangiava solo più carne cruda ed il suo corpo si ricopriva di pelo.
Doveva perciò essere guarito da un esorcista.
Ancora oggi nei villaggi o nei quartieri popolari delle città, il ruggito del leone terrorizza e riempie di frenesia tutta la popolazione.

Altrettanto importante è la festa della bellezza dei Peul Bororo in Niger (il Gerewol) che riunisce queste tribù nomadi del Sahel per una gara nuziale in occasione della quale i giovani pastori, con i volti coperti di ocra e le labbra annerite con il carbone o la grafite, spesso ricavata da vecchie pile, si contendono i favori delle fanciulle in età da marito.
Si tratta di uno dei riti di seduzione più antichi ed affascinanti dell’Africa.

Ma l’uso del corpo come una tavolozza è estremamente diffuso in tutto il continente africano.
In Mozambico le donne ricoprono il volto col “musiro”, un impasto ricavato dalle radici delle piante.
Queste maschere di bellezza, con il loro biancore, conferiscono sembianze spettrali.
Largo uso del colore, nonché di vari tipi di ornamenti quali piattelli labiali o auricolari, si osserva presso i popoli della bassa valle dell’Omo, nell’Etiopia meridionale.
Le donne Bassari del Senegal indossano spine di istrice nel setto nasale perforato.
Le Himba della Namibia impastano i capelli e cospargono il corpo con un impasto di ocra rossa e grasso animale.
I giovani Masai del Kenya e della Tanzania, durante i riti di passaggio all’età adulta, si aggirano nelle savane col volto sbiancato dal caolino.



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