In precedenza i soldati non potevano avere tatuaggi visibili sotto il gomito o il ginocchio e, inoltre, i tatuaggi non potevano essere più grande della dimensione della loro mano.
Con una ordinanza ufficiale è possibile per i componenti dell’ARMY a stelle e strisce andare dal tatuatore e farsi mettere quanto inchiostro vogliono sottopelle.
Per dirla tutta, quasi ovunque: sono ancora vietati i tatuaggi su collo e viso, così come le immagini di stampo razzista, estremista e sessista.
La liberalizzazione dei tatuaggi ha alla base un motivo più che etico numerico: il calo degli arruolamenti. Il limite alla presenza di tatuaggi è stato probabilmente vissuto come una barriera e, anche per questo, è stato probabilmente cambiato.
In Italia è divieto categorico a tatuaggi o piercing ‘in parti visibili del corpo’, proibiti i disegni sulla pelle ‘che abbiano contenuti osceni, con riferimenti sessuali, razzisti, di discriminazione religiosa o che comunque possano portare discredito alle istituzioni della Repubblica italiana e alle forze armate’: è l’Esercito a sottolineare, in una direttiva inviata ai reparti sul territorio in tutta Italia, la necessita’ di procedere ad una ‘regolamentazione’, allo scopo di ‘prevenire e contenere situazioni che possano incidere sul decoro dell’uniforme e sull’immagine dell’Esercito’. Bisogna infatti considerare ‘i riflessi negativi che il ricorso a tatuaggi o piercing possono avere sulla capacita’ del singolo di assolvere determinati incarichi operativi, nonche’ eventuali aspetti sanitari’.
La direttiva dello stato maggiore, che dispone anche una serie di controlli in fase di selezione oltre che verifiche periodiche sul personale, ricorda che i militari dell’Esercito si trovano sempre piu’ spesso ad agire ‘in teatri operativi distanti dalla madrepatria’, zone operative contraddistinte ‘dalla presenza della popolazione civile e contingenti multinazionali con usi, costumi, cultura e religione talvolta molto differenti da quelli che caratterizzano gli italiani ovvero le culture occidentali’. In questo contesto, si legge nel documento diffuso da ‘forzearmate.org’, ‘l’eventuale presenza di segni esteriori dell’individuo appartenente alla forza militare potrebbe ingenerare un senso di diffidenza/discredito da parte di appartenenti ad altri Paesi che per motivazioni religiose o culturali disapprovino la pratica dei tatuaggi’. Oltre a contraddistinguere ‘in maniera inequivocabile l’appartenenza alla forza armata’ ed essere ‘espressione e simbolo di valori fondamentali’, l’uniforme, rileva la circolare dell’Esercito, ‘sta ad indicare ‘uguaglianza’ pertanto l’aspetto esteriore degli appartenenti all’Esercito italiano richiede particolare cura e non puo’ essere trascurato ovvero snaturato da forme di evidenza estetica quali possono essere i tatuaggi o i piercing’. Con l’entrata in vigore della direttiva sono quindi vietati i tatuaggi ‘osceni’, ‘con riferimenti sessuali’, ‘razzisti o di discriminazione religiosa’, quelli ‘che possono portare discredito alle istituzioni dello Stato ed alle forze armate’. Quest’ultima categoria comprende ‘quelli palesemente in opposizione alla Costituzione o alle leggi dello Stato italiano’ ed anche ‘i tatuaggi che fanno riferimento ovvero identificano l’appartenenza a gruppi politici, ad associazioni criminali o a delinquere, incitano alla violenza e all’odio ovvero alla negazione dei diritti individuali o ancora sono in opposizione ai principi cui si ispira la Repubblica italiana’. Il giudizio sulla liceita’ dei tatuaggi ‘e’ competenza del Comandante di corpo per il personale in servizio e della Commissione concorsuale in sede di selezione’. Per ‘definire la gestione della situazione pregressa’ ed ‘evitare la successiva contestazione di tatuaggi gia’ presenti’ all’atto dell’entrata in vigore della circolare, tutto il personale dell’Esercito ‘dovra’ provvedere a sottoscrivere obbligatoriamente una dichiarazione sulla presenza o meno di tatuaggi, che viene conservata nella documentazione personale’.
In sede di selezione, la presenza di tatuaggi puo’ comportare ‘un giudizio di esclusione dal concorso’. All’atto del cosiddetto ‘incorporamento’, il riscontro di un tatuaggio non consentito ‘puo’ essere rilevato direttamente dal relativo comandante (nelle sedi non coperte da uniforme)’ o dal personale medico ‘nelle sedi coperte’. Il personale militare arruolato prima dell’entrata in vigore della direttiva e partecipante ai concorsi interni della forza armata ‘non sara’ escluso per la presenza di tatuaggi poiche’ arruolato con la normativa previgente’.
Non tutti i tatuaggi sono causa di esclusione dalla selezione. Si può chiedere, infatti, l’annullamento del provvedimento che notifica il giudizio di “non idoneità” della giovane leva agli esami clinici generali e a prove strumentali o di laboratorio, relativi al concorso pubblico in oggetto, dovuto alla presenza di un tatuaggio. L'aspirante militare, dunque, qualora reputi errata la valutazione della commissione, può presentare ricorso nel termine di trenta giorni dalla data in cui ha ricevuto la comunicazione.
L’istanza è costituita da un documento sottoscritto dal candidato medesimo, nel quale egli espone le motivazioni che hanno condotto al parere negativo e, contemporaneamente, dichiara che la patologia ritenuta causa di “inidoneità” non è presente. Il ricorrente chiede perciò il riesame e l’ammissione al concorso per il quale ha presentato domanda.
Il ricorso deve essere sempre accompagnato da un certificato medico, ovvero dalla relazione di uno specialista, proveniente da una struttura pubblica o convenzionata, che attesti l’assenza della suddetta patologia.
Il candidato, inoltre, fa richiesta di un nuovo accertamento, da effettuare da parte di una seconda commissione medica, con l’espresso avvertimento che in mancanza adirà l’autorità giudiziaria competente.
Bisogna allegare al modulo per il ricorso la copia:
di un documento d’identità valido;
del codice fiscale;
del modulo di notifica della non idoneità;
della certificazione specialistica.
Il candidato è sottoposto a un nuovo esame psico-fisico da una commissione di seconda istanza, presieduta da un dirigente medico superiore e da altri due dirigenti medici. Stavolta il giudizio che ne scaturisce è in ogni caso definitivo e comporta, se confermata la “non idoneità”, l’esclusione dal concorso, disposta con decreto motivato dal Ministro della Giustizia. Viceversa, se la parte ricorrente dovesse risultare vittoriosa, sarà non solo riammessa alla selezione, ma rimborsata delle spese di lite dal Ministero della Giustizia.
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