Il linguaggio dei simboli disegnati sulla pelle ha, ancora adesso, una straordinaria importanza.
Secondo le stime fatte dal criminologo russo Arkady G. Bronnikov, tra la metà degli anni Settanta e la fine degli anni Ottanta, su 35 milioni di detenuti nelle carceri dell’ex Unione sovietica l’85% era tatuato. Sul proprio corpo, ogni vory ha scritto la sua personale storia criminale. Il tatuaggio rivela ruolo, categoria e grado di appartenenza. Le stelle sul petto le ha solo un “ladro in legge”. Le stesse sulle ginocchia indicano la volontà di non piegarsi mai davanti allo Stato. Chiese e castelli sono molto comuni. Il numero di cupole o torri indicano gli anni di galera. Spesso sono accompagnate dalla scritta: “La Chiesa è la casa del signore”. Tradotto nel codice dei vory: “La prigione è la casa del ladro”. Un’altra frase ricorrente sulla pelle degli affiliati è questa: “Non mi importa delle leggi sovietiche, le sole regole che seguo sono quelle che mi faccio da solo. Molti di quelli che stanno qui non hanno un destino, ma io non sono come loro”. E poi c’è il linguaggio della parola: la fenya. Composto da circa 10mila espressioni. Serve per mantenere riservate le conversazioni. Ogni categoria criminale dell’organizzazione ha una sua semantica. E così c’è l’alfabeto dei borsaioli, truffatori, malversatori, ricettatori di antiquariato, narcotrafficanti, taglieggiatori.
I tatuaggi criminali russi hanno caratteristiche ben precise che ne connotano lo stile, rendendolo subito riconoscibile: sono semplici, grezzi, generalmente mal eseguiti, monocromi, tendenti alla bidimensionalità. I loro soggetti si dividono fra immagini sacre, chiese con cupole fiammeggianti, corone, animali, caricature di leader politici, emblemi di nazionalismo ed antisemitismo, raffigurazioni muliebri che vanno dal ritratto poetico alla più cruda ed esplicita pornografia, insegne militari come medaglie e decorazioni, simboli geometrici, teschi.
Al di là della politica russa, della violenza e del sesso estremo, questi tatuaggi sono piuttosto classici, e ricordano i tatuaggi tradizionali delle donne integralmente tatuate dei freak shows della fine del Diciannovesimo Secolo, oppure quelli dei marinai. Non per nulla, il mondo dei marinai e quello dei criminali sono spesso sconfinati uno nell’altro, e gli studiosi affermano che l’iconografia dei tatuaggi criminali russi proviene da quella usata dai marinai inglesi nel periodo fra le due guerre mondiali.
Prima ancora, fin dai tempi più remoti, in Russia era diffusa l’abitudine di marchiare i criminali.
La scritta BOP (ladro) che veniva impressa sul viso del condannato ai lavori forzati, e lo contrassegnava a vita, anche una volta scontata la pena. L’attrezzo utilizzato era una sorta di timbro pieno di aghi, che lasciava ferite profonde, le quali venivano riempite di colorante. Dal 1846 la scritta BOP venne sostituita con KAT, le prime tre lettere di katorzhnik, forzato. La K veniva tatuata sulla guancia destra, la A sulla fronte, e la T sulla guancia sinistra. Da allora, la parola kat significa furfante. Questi furono i primi veri tatuaggi criminali russi, e vedremo come questa pratica di esclusione perpetua, affine alla tortura nelle modalità di esecuzione, si sia trasformata, mediante un gesto orgoglioso e ribelle di appropriazione degli strumenti punitivi del potere, in un segno di distinzione ricercato e difficile da conquistare. Come dire: tu Potere mi marchi orribilmente per escludermi vita natural durante dall’umano consorzio, ma io mi approprio della tua pratica, e del tuo sfregio ne faccio un linguaggio esoterico, che tu non potrai mai comprendere fino in fondo, e uno status symbol nella società dei ladri, a cui scelgo di appartenere.
Si ritiene che i fuorilegge abbiano iniziato a tatuarsi di loro spontanea volontà fra la fine del Diciannovesimo e l’inizio del Ventesimo secolo, quando il tatuaggio criminale diventò ampiamente diffuso. All’inizio dell’era sovietica, comunque, solo il venticinque per cento dei detenuti era tatuato.
Inizialmente il codice dei tatuaggi serviva per distinguere i veterani delle galere dai novellini, per poterli indirizzare in celle differenti: i vecchi andavano in Abissinia, ovvero in celle più calde, con un sistema di ventilazione migliore, i nuovi finivano in India, in celle sovrappopolate ed umide.
Fino agli anni Quaranta i tatuaggi non ebbero dei significati segreti, ad esclusione delle icone dei grandi leader politici Lenin e Stalin. Allora si riteneva infatti che ci fosse una forte affinità fra il Partito e la criminalità organizzata, e capitava spesso che i criminali conclamati ricevessero pene meno severe dei detenuti comuni. Era usanza tatuarsi i testoni dei due capi supremi sul cuore, perché si credeva che le guardie non avrebbero avuto il coraggio di sparare in faccia a Lenin o Stalin.
La casta dei criminali russi è nata nei campi di prigionia stalinista ed è composta dai vory v zakone (ladri per statuto, titolo che corrisponde al don della mafia siciliana), i blatnye (prigionieri) e gli avtoritety (autorità criminali).
Nikita Krushchev negli anni Cinquanta a dichiarare guerra alla criminalità, usando innanzitutto il mezzo del cinema di propaganda, per screditare la mitologia del romanticismo criminale. Si dice che il popolare attore Mark Bernes fosse stato condannato a morte dalla casta dei vory v zakone, per il successo ideologico del suo film anti-criminalità Ronda di Notte. Anche dentro le prigioni, le condizioni di vita per i fuorilegge legittimi peggiorarono, con i contatti con l’esterno ridotti al minimo e le punizioni intensificate. A Sverdlovsk venne creata una galera apposta per i vory v zakone, in cui si intendeva piegare la loro volontà e farli rinunciare alle loro leggi e tradizioni, mediante la coercizione e la tortura. I criminali reagirono intensificando il loro codice e concedendo il rango e i diritto di portare i tatuaggi distintivi a poche centinaia di individui, contro le migliaia di ladri legittimi che esistevano prima della Seconda Guerra Mondiale. Le punizioni per i trasgressori, per i finti vory v zakone che millantavano imprese criminali tramite tatuaggi mistificati, erano terribili. Chi falsificava i propri tatuaggi, inventando storie o status che non gli erano propri, veniva severamente punito. Le dita che portavano falsi perstni (anelli tatuati) venivano amputate, la pelle che supportava tatuaggi che raccontavano storie false era asportata, con coltelli, vetri, carta vetrata.
Chi copiava i tatuaggi di qualcun altro, veniva ucciso. La violenza nelle prigioni crebbe a livelli mai visti prima, e lo stupro divenne una punizione comune per chi aveva trasgredito il codice criminale. Comparvero i primi tatuaggi degradanti, fatti con la forza addosso a chi aveva perso i suoi privilegi ed era stato trasformato in un omosessuale passivo. Infine, alla fine degli anni Sessanta questa situazione si ritorse contro la casta criminale, perché c’erano talmente tanti detenuti degradati che le amministrazioni delle prigioni iniziarono ad usarli contro i vory v zakone. I criminali autorevoli venivano spesso messi in cella con detenuti che erano stati stuprati dai loro uomini. Iniziò una sanguinosa guerra, finchè l’élite dei ladri non si riunì per deliberare dei provvedimenti. La nuova legge prevedeva che non si dovesse più “punire con il pene”. Lo stupro venne severamente proibito in ogni circostanza, tranne che per castigare chi avesse trasgredito questa nuova legge. Le restrizioni per i tatuaggi divennero gradualmente meno severe, per crollare sotto i colpi della perestroika, che dal 1985 cambiò la visione dei tatuaggi, non più codice esclusivo della criminalità organizzata, ma accessorio di moda come i piercing. Vitaly Abramkin, un carcerato intervistato da Alexander Sidorov, storico ed antropologo delle subculture criminali russe, sostiene che i criminali professionali contemporanei spesso non si tatuano per niente, e anzi considerano il tatuaggio un impedimento nell’espletare le proprie attività.
Ma nell’epoca d’oro i tatuaggi rituali avevano significati esoterici e multi-stratificati, e solo i tatuatori esperti sapevano decrittarli. Il loro significato variava a seconda del posto in cui vengono eseguiti, e per essere decifrati dovevano essere considerati in relazione a tutto il complesso iconografico dell’uniforme, ovvero tutta la veste tatuata sul corpo del criminale. Alexei Plutser-Sarno, un lessicografo specializzato in folklore russo, sostiene che il corpo nudo di un criminale russo è come un’uniforme con medaglie e gradi. I tatuaggi possono essere chiamati reklama, pubblicità, regalka , regalia, raspisca, dipinto, o kleimo, marchio. Sono media, che trasmettono messaggi. Costituiscono i diplomi, il curriculum vitae, la storia e i lasciapassare da un territorio all’altro. Possono avere un significato magico rituale, per propiziare fughe dalla prigione o avere fortuna nelle attività criminose. I tatuaggi sono un linguaggio sacro, e chi lo altera viene considerato reo di blasfemia. Il pigmento viene generalmente fatto con una mistura di cenere, zucchero, urina e fuliggine, e sul territorio della galera è considerato uno dei beni di lusso.
Danzig Baldaev, l’autore della ricerca iconografica alla base di Russian Criminal Tattoo Encyclopaedia, è stato un reduce della Seconda Guerra Mondiale e successivamente una guardia carceraria. Nato nel 1925 e morto ottant’anni dopo, Danzig era un siberiano di etnia buriata, una stirpe di sciamani di ascendenza mongola.
Fra i motivi iconografici più ricorrenti individuati da Baldaev ci sono il teschio e in generale lo scheletro, come memento mori, come spregio della morte, come simbolo di quell’indifferenza di fronte alla fugacità della vita che deve essere propria di chi appartiene a una subcultura liminare impegnata in attività in cui si può facilmente perdere la vita, o toglierla a qualcuno. Il teschio può essere anche simbolo di crudeltà, soprattutto quando è rappresentato in mucchi di molteplici esemplari. La Grande Mietitrice spesso rappresenta il Potere statale, esecutivo e giudiziario. Il teschio tatuato sulle falangi all’interno di una griglia quadrangolare rappresenta un criminale pericoloso, solito ad aggredire le guardie carcerarie, che pertanto gode di uno status alto fra gli altri carcerati. Ma un teschio iscritto in un rettangolo nero barrato da due diagonali bianche indica una condanna per vandalismo, e nella zona dei Ladri Neri indica uno status molto basso, passibile di atti di violenza. Il teschio da cui spunta una croce ortodossa dalle cui braccia pendono i piatti di una bilancia denota un criminale che non ha mai sgarrato la legge dei fuorilegge, e che quindi può giudicare questioni controverse del mondo criminale, sia dentro la galera che fuori.
Fra il Diciannovesimo e il Ventesimo secolo i criminali russi erano generalmente anticlericali, non potendo condividere la retorica della pietà, dell’abnegazione, dell’obbedienza cristiana e del porgere l’altra guancia. Iniziarono a simpatizzare con i preti solo quando questi iniziarono ad essere perseguitati dal regime comunista, fino ad introiettare nei tatuaggi l’iconografia sacra e ad adottare una cerimonia di iniziazione molto simile al battesimo. Il novizio veniva convertito alle leggi criminali e riceveva un nuovo nome, il soprannome con cui avrebbe gestito i propri affari. Durante questa cerimonia, si riceveva la croce criminale, che poteva essere un ciondolo da indossare al collo, o anche tatuata nello stesso punto. La madonna col bambino significava “la prigione è la mia casa” oppure fedeltà alla casta criminale.
La bussola tatuata sulle ginocchia significa “non mi inginocchierò mai davanti alla polizia”.
Ci sono molte raffigurazioni teriomorfe. Il gatto rappresenta in generale la casta dei ladri, significa Kot, la parola russa per gatto, è l’acronimo di “abitante naturale delle prigioni”
Gli insetti, le formiche, gli scarafaggi, rappresentano la categoria dei borseggiatori.
Il serpente arrotolato su spada vuol dire imprigionato per omicidio o per gravi lesioni, è sinonimo di macellaio, ma fatto in relazione con una donna nuda sulla parte posteriore del corpo indica un omosessuale passivo.
La scritta SLON, elefante in russo, è un acronimo che significa “Fin dall’infanzia non ho avuto nient’altro che infelicità”.
Il licantropo spesso denotava gli assassini, i lupi invece erano emblemi del motto “Homo homini lupus”.
Analizzando i tatuaggi criminali russi emerge una critica feroce all’autorità del regime comunista, responsabile dell’dell’internamento del detenuto, nonché spesso e volentieri della condotta criminale stessa, soprattutto sotto regime stalinista, quando era molto facile fare qualcosa di illegale e di sgradito al potere. Anzi, era quasi inevitabile, come testimonia la storia di Bely, un criminale che si fece tatuare una bellissima Madonna Sistina di Raffaello, attorniata da una scritta che riassumeva la sua storia. La madre di Bely finì in galera dopo aver fatto il raccolto nella fattoria collettiva di Irkutsk, nel 1935, perché le venne confiscato un sacco con circa tre chili di grano, che aveva nascosto per sfamare le sue due bambine di cinque e sette anni. Lei andò in prigione per cinque anni, le sue figlie vennero messe in orfanotrofio, e durante la detenzione partorì Bely. Bely venne messo in un istituto, e quando la madre, alla fine dei cinque anni lo andò a riprendere, era più morto che vivo. Quando ebbe diciannove anni, Bely venne arrestato mentre rubava viveri in un deposito militare, e venne condannato a venticinque anni. La Madonna che si fece tatuare in galera rappresenta sua madre che lo partorì in prigione.
La falce e martello viene spesso sottoposta a un processo di détournement, e quando reca la scritta Bog, Dio, significa “Sono stato condannato dallo Stato e sono risentito per la condanna”. Gli ideologi del partito e i leader del governo vengono spesso ritratti in spietate caricature, come demoni cornuti ed iperdotati, intenti in attività degradanti, connesse con la defecazione o l’attività sessuale. Ma il diavolo è anche l’emblema della ribellione all’Autorità.
Poi ci sono le donne. Donne infilzate da una lancia che entra dall’ano ed esce dalla bocca, donne impiccate da un boia che sfoggia una svastica sul petto, donne in autoreggenti a rete che si fanno montare da un molosso decorato con falce, martello e stella, sotto alla scritta “Gloria al Partito Comunista Sovietico”. Una donna nuda che regge un teschio in mezzo alle gambe, circondata da una scritta che dice: “Uomini, non fidatevi delle puttane, loro possono farvi affogare nella loro fica.” I tatuaggi carcerari russi presentano una filone iconografico di violentissime rappresentazioni femminili, connotate da sadismo feroce o cruda pornografia. Si possono vedere donne che si sollazzano con demoni, praticando loro la fellatio o venendo sottoposte a torture sessuali. Ci sono i tatuaggi dedicati alle puttane, ovvero le donne dei carcerati rimaste a casa, colpevoli di infedeltà o tradimento alle autorità, e spesso rappresentano delle vere e proprie maledizioni visive. Uno dei più ricorrenti è quello denominato “il sogno della puttana”, con una donna nuda inginocchiata su un letto circondata da membri volanti. In un tatuaggio si vedono donne nude in cui cadaveri acefali giacciono ai piedi del ceppo, mentre un carnefice proclama “Morte alle cagne” mostrando le loro teste. Alexei Plutser-Sarno, sostiene che questo tipo di tatuaggi sono in realtà avulsi da qualsiasi connotazione pornografica, e che non vengono praticati sopra a componenti della casta dei vory v sakone, ovvero dei ladri legittimi. Nessun membro autorevole di questa casta si tatuerebbe mai la parola “puttana” addosso, che lo declasserebbe senz’altro. Anche la rappresentazione del sesso non si confà addosso a chi è dotato di un alto status. Questo tipo di tatuaggi, sostiene Pluster-Sarno, sono piuttosto tatuaggi punitivi, per aver perso al gioco d’azzardo, per esempio. Invece, secondo la brillante lettura di Alexander Sadorov, i tatuaggi di violenza misogina contro le suky, le cagne, le puttane, riflettono uno scisma che ci fu nel mondo della criminalità e del sistema carcerario russo in seguito alla Seconda Guerra Mondiale, durante la quale molti vory v zakone furono costretti a servire nell’Armata Rossa. Finita la guerra la maggior parte di loro si dimostrò inabile ad integrarsi nella società stalinista, ritornò alle vecchie attività e presto finì di nuovo dietro le sbarre. Aver servito lo Stato sotto le armi era un tabù assoluto per il codice di comportamento criminale, quindi al loro ritorno nelle galere, questi vory v zakone veterani di guerra si ritrovarono privati del loro status, e anzi declassati al rango più basso della gerarchia. I ladri legittimi che avevano passato la guerra nel Gulag iniziarono a chiamare i ladri veterani suky, puttane. Si scatenò allora un’immane e sanguinosa guerra.
Danzig Baldaev racconta di essersi imbattuto in tatuaggi satanisti intorno agli anni Cinquanta. I prigionieri satanisti non si sottomettono alle autorità criminali e sono molto violenti nei confronti dei carcerati più deboli, sui quali infieriscono con piacere sadico. Sostengono che sia Satana e non Dio a governare il mondo, e che la gentilezza sia un peccato dei deboli. Sono generalmente persone brutali e mentalmente disturbate, piene di odio nei confronti di tutti quelli che li circondano. Rispettano solo la forza, nessuna punizione sortisce effetto su di loro, ed usano un linguaggio simbolico preso dai grimori, ovvero i libri di magia, demonologia ed esoterismo. A causa dell’estrema antisocialità dei soggetti che portano tatuaggi satanisti, Baldaev riferisce di essere riuscito a catalogarne pochissimi.
I diavoli rappresentano sia le maledizioni contro l’autorità, ma anche l’autorità stessa, con scritte come: “Sin da quando sono nato la mia vita è stata nelle mani dei diavoli del Partito Comunista Sovietico.” In un tatuaggio molto atipico Satana viene rappresentato come una donna bellissima che tiene in mano il globo.
La svastica tatuata come se fosse la gemma di un anello sulle dita diventa stranamente sinonimo di “anarchico”. È un tatuaggio disonorevole e pericoloso, significa che il prigioniero rifiuta di sottostare all’etichetta interna alla prigione, e che quindi deve essere raddrizzato. Anche un rombo diviso in quattro zone, due bianche e due nere, tramite la linea delle diagonali, significa che il prigioniero non riconosce la gerarchia della zona, ovvero della galera, e che quindi deve essere sottoposto da un gruppo di prigionieri selezionati al metodo leninista di persuasione fisica, il che significa essere pestato e violentato finchè la volontà non è completamente disintegrata.
Al di là della critica all’autorità dello stato, nelle prigioni russe vige un imprescindibile ordinamento gerarchico, al vertice della quale stanno i criminali autorevoli, la cui parola è legge assoluta, che non ammette repliche. Il re della prigione dispone di guardie del corpo che non lo abbandonano mai e di servi. Questi schiavi devono stirare, portare messaggi, lustrare scarpe, portare il cibo, preparare il chifir, un tipo molto forte di the, procurare al capo uomini che praticano sesso orale oppure omosessuali passivi, lavare le lenzuola, le calze e le pezze da piedi, fare rapporto sull’umore generale dei detenuti, riferire se ci sono informatori. Ogni autorità può avere al suo servizio anche una decina di questi lacchè. Anche i servi e le caste di intoccabili della prigione hanno i loro tatuaggi, che spesso vengono loro applicati con la forza.
I tatuaggi degli schiavi sono generalmente sei punti iscritti dentro ad un rettangolo, tatuato sulle falangi. Ci sono i tatuaggi che denotano lo status di immondizia, vale a dire degli uomini sporchi, stupidi, trasandati e malmessi, degli omosessuali passivi degradati fisicamente e mentalmente, gli intoccabili, da cui non si può prendere nulla nemmeno un fiammifero, a meno di non voler essere “contaminati”. Gli immondi intoccabili hanno un posto tutto loro nella mensa, le loro stoviglie vengono marchiate in modo speciale e lavate a parte, e qualora vengano trasferiti o rilasciati, i loro letti devono essere bruciati. Si diventa intoccabili se si finisce in galera per pedofilia o per stupro. Ci sono tatuaggi che denotano i mangiatori di waffel, uomini che praticano la fellatio ed inghiottono lo sperma. Il coniglio invece indica i maniaci sessuali.
I tatuaggi criminali russi sono, fra le altre cose, una forma d’arte, per cui raccontano la storia del singolo e nello stesso tempo la storia della collettività, vista da una prospettiva che parte rigorosamente dal basso. L’iconografia dei tatuaggi criminali russi riflette un triste paradosso, quello di chi si pone in posizione antagonista al potere e troppo spesso finisce per riprodurne gli orrori strutturali.
C’è chi l’ha scelta grande e con i petali aperti. Chi ha preferito un bocciolo. E chi ha voluto le spine ben visibili. Il simbolo del cambiamento avvenuto all’interno della criminalità lucana è la rosa. Un fiore che gli affiliati al clan di Tonino Cossidente portano sul braccio. Mai prima d’ora la famiglia mafiosa dei basilischi, quella che i magistrati della procura antimafia hanno definito «Quinta mafia», aveva avuto bisogno di segni esteriori come i tatuaggi. Ma a tutto c’è una spiegazione.
E sono gli stessi protagonisti delle storie di mafia a fornirla. Alessio Telesca, pentito spacciatore ed ex affiliato alla famiglia dei basilischi, dice di aver preso parte all’addio alla carriera criminale del boss Gino Cosentino. Era il 2003 quando il demiurgo dei basilischi, il capobastone intellettuale, pittore e artista, in presenza dei suoi sodali ha ceduto il testimone a Cossidente che già nel 1991, con altri due pregiudicati, aveva tentato di fondare una «Famiglia lucana».
A raccontare come sono andate le cose, in un’intercettazione «inutilizzabile» nei processi perché effettuata da un agente segreto, è proprio il nuovo capo dei basilischi. Dai riscontri effettuati dagli investigatori sembra essere un attento conoscitore della ’ndrangheta. Dice: «Cosentino aveva avuto la camorra dai Facchineri di Civitanova e poi in carcere, comunque, cariche di altri livelli».
E ancora: «Su questo piano, diciamo, di favella (la formula che viene recitata durante l'affiliazione) di queste cose qua, in Basilicata era lui, Cosentino, diciamo il più alto di carica. Poi, lui, dopo tanti anni che è stato in carcere, ritornando qui in Basilicata, giustamente, ha cercato di ricompattare tutta la situazione, perché in Basilicata i gruppi che c’erano, prima erano tutti gruppi, diciamo, autonomi». L’idea di «Faccia d’angelo», così era stato soprannominato in gioventù Cosentino, era quella di formare una mafia tutta lucana. Sapeva che da solo non ce l’avrebbe fatta e decise di rivolgersi alla ’ndran - gheta. I boss gli spiegarono che la famiglia dei basilischi, per poter essere autonoma, doveva essere organizzata in sette «locali», comuni di mafia, che formano un’unità territoriale più grande detta «crimine». Ogni locale è gestito da una o più ’ndrine, che in Calabria sono le famiglie, e per essere attivato deve essere riconosciuto dalla ’ndrangheta.
Il suo segno tangibile è la rosa. Lo spiega l’ex picciotto, di professione autista del boss, Alessio Telesca: «Quando uno viene affiliato, in gergo, sempre a livello di malavita, come si dice nella ’ndrangheta, si dà il fiore. E questo è il segnale che… è una rosa. Anche io ce l’ho sul braccio».
Il pentito della criminalità lucana però fa un po’ di confusione. Il fiore per gli ’ndranghetisti è sinonimo di dote, cioè è un «merito» che viene conferito a un affiliato quando fa carriera all’interno dell’organizzazione. Nulla a che vedere con la rosa tatuata voluta da Cossidente per indicare l’appartenenza al suo clan. Per sé ha scelto la scapola destra. E il suo braccio destro, Carmine Campanella, narcotrafficante che ha assaggiato il carcere duro, il famoso 41 bis dell’ordina - mento penitenziario, ha seguito le sue orme. Anche lui ha scelto la scapola. Ma il disegno è diverso. Dice Telesca: «E’ una rosa con uno stelo, con foglie e con delle spine che solo lui può portare».
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