In uno studio alcuni ricercatori americani, francesi e russi hanno stabilito senza ombra di dubbio che le razze umane non esistono. Dividere l'intera specie in diversi “gruppi” caratterizzati da un differente colore della pelle, dalla struttura dei capelli o da altre caratteristiche è quindi profondamente scorretto. I biologi, studiando il patrimonio genetico proveniente da 1056 persone di 52 popolazioni diverse, hanno cercato di capire dove e come sono condivisi 377 geni.
Il risultato è stato inequivocabile: la diversità biologica all'interno di ogni popolazione è altissima, e va dal 93 al 95 per cento. Questo significa che la stragrande maggioranza dei geni umani sono già presenti in un solo gruppo di persone.
Ma anche che questi geni sono diffusi un po' ovunque sul pianeta, e esistono pochissimi tratti che sono caratteristici di un solo gruppo omogeneo di persone. Non sarebbe quindi possibile contraddistinguere questa o quella razza in base a caratteristiche somatiche o del metabolismo; queste sono ovviamente dettate dai geni, che però a loro volta non sono specifici di bianchi, neri, gialli o rossi.
Nonostante questo risultato, e studiando con particolare attenzione i pochi geni che sono caratteristici di ogni popolazione, gli studiosi hanno tentato di dividere l'umanità in gruppi, con un programma di computer che raggruppa i geni simili. Il risultato più logico è la suddivisione della specie umana in cinque grandi gruppi corrispondenti vagamente ai continenti: eurasiatici (che comprendevano europei veri e propri, mediorientali e popolazioni dell'Asia centrale e meridionale), est asiatici, africani, americani e popolazioni dell'Oceania. I ricercatori fanno notare che il numero cui è giunto il programma stesso è solo quello che meglio si attaglia, per così dire, a una logica geografica di divisione della specie.
Intanto in Brasile un gruppo di studio, con la stessa finalità, ha esaminato un gruppo più limitato di uomini provenienti dal grande paese sudamericano e di altre popolazioni; e ha scoperto che, se pure esistono alcuni tratti genetici particolari che possono distinguere un gruppo da un altro, questi geni non hanno niente a che fare con aspetti fisici come il colore dei capelli o della pelle. Con loro grande sorpresa, i genetisti hanno scoperto che uomini dichiaratamente “bianchi” avevano il 33 per cento di geni amerindi e il 28 per cento di geni africani. E che addirittura il gruppo di persone classificate come neri aveva una proporzione molto elevata di geni non africani, il 48 per cento. Lo studio, commentano i ricercatori, chiarisce che è pericoloso identificare il colore della pelle con la stirpe o la provenienza geografica.
Chiunque osservi una foto di Hitler, non può fare a meno di notare che il dittatore tedesco, celebratore del tipo ariano alto, biondo e con gli occhi azzurri, non possedeva nessuna di queste caratteristiche.
Nel 1932, quando Hitler era già diventato un personaggio di primo piano nella storia della Germania, anche se non era ancora salito al potere, un coraggioso giornalista, Fritz Gerlich, pubblicò su un giornale di Monaco un ironico articolo, intitolato Nelle vene di Hitler scorre sangue mongolo? Gerlich era stato un acceso nazionalista e aveva conosciuto personalmente Hitler.
Ben presto, però, pur restando un conservatore, era diventato un suo acerrimo avversario e aveva cominciato ad attaccarlo aspramente sulla stampa.
Il suo articolo più feroce fu, appunto, quello in cui ipotizzò una presunta origine mongola di Hitler, per farlo infuriare.
Uno dei ciarlatani del razzismo, Hans Gunther, aveva definito la forma e le dimensioni di tutte le teste e di tutte le fattezze del “tipo nordico”. Gerlinch notò che, secondo Gunther, il naso degli ariani doveva avere il setto e la base piccola, mentre quello dei mongoli aveva base larga, ponte piatto e “ una piccola fenditura nel ponte, che spinge più avanti e più in su la punta del naso”. Fece notare che il naso di Hitler corrispondeva proprio a questa descrizione e ne dedusse, ironicamente, che Hitler apparteneva alla razza mongola.
In base ai criteri elaborati dagli stessi falsi “scienziati” cari a Hitler, Gerlich arrivò, poi, alla conclusione che Hitler era privo non solo di una fisionomia ariana, ma anche di “un’anima ariana:” “Il contrasto fra il vero ideale nordico e quello di Hitler”, scrisse, “non potrebbe essere espresso in modo più radicale. L’atteggiamento di Hitler è assolutamente non-nordico, non tedesco.
È, dal punto di vista razziale, puramente mongolico”.
Gerlich, che era anche anticomunista, paragonava Hitler a Stalin, vedendo in entrambi lineamenti asiatici e “ un’anima asiatica”.
In questo modo Gerlich sottoponeva a una feroce satira la presunta “scienza” di quegli antropologi che pretendevano di desumere dai caratteri somatici la personalità degli individui. A completare la presa in giro, l’articolo di Gerlinch era sormontato da un fotomontaggio in cui si vedeva Hitler, in tight e cilindro, a braccetto di una sposa di pelle nera, “nel giorno felice del loro matrimonio”.
La conclusione della vicenda fu tragica. Dopo che Hitler fu nominato cancelliere, Gerlich decise di continuare ad attaccarlo sulla stampa: possedeva alcuni documenti compromettenti per i nazisti e s’illudeva che, se li avesse pubblicati, il Presidente della Repubblica avrebbe revocato il mandato di cancelliere a Hitler.
Ma il 9 Marzo 1933 un gruppo di nazisti fece irruzione nella tipografia del giornale e Gerlich fu portato nel campo di concentramento di Dachau, dove fu assassinato dalla Gestapo l’anno seguente. Non si sa quali documenti avesse intenzione di pubblicare Gerlich: si disse che riguardavano la morte di Geli Raubal, nipote di Hitler, nell’appartamento dello zio (una vicenda che rimase misteriosa) oppure rivelazioni sull’incendio del Reichstag o su finanziamenti provenienti dall’estero al partito nazista. È, comunque, certo che Gerlich fu una vittima della repressione esercitata contro la stampa.
La suddivisione della specie umana in razze diverse è a-scientifica e arbitraria, come ricorda, tra i tanti, il documento UNESCO, scritto apposta dopo la seconda guerra mondiale, che riconosce soltanto il concetto di gruppo etnico come unico segmento della specie umana in cui sia riscontrabile una vera omogeneità tra individui. Il concetto stesso di razza come suddivisione rigida dei popoli umani è quindi completamente decaduto.
Le moderne ricerche di genetica hanno mostrato che con le differenze genetiche tra i popoli non possono distinguere razze in modo definito, ma che tutti i popoli umani mostrano caratteristiche genetiche che variano in maniera continua e progressiva. Tale termine può essere unicamente inteso secondo il significato storico che assunse a partire dalla metà del XIX secolo e soprattutto nell'ideologia nazionalsocialista del XX secolo.
Il termine razza rimane valido, in zootecnica, solo per alcune specie addomesticate dall'uomo. Non è usato per gli animali selvatici. Così, come più in generale l'idea di razza, anche quella di razza ariana non ha alcun significato in termini genetici, né a maggior ragione ha senso cercare di identificare "razze" attraverso criteri linguistici.
L'idea di razza ariana è nata dalla trasposizione sul piano biologico di una delle maggiori conquiste della linguistica storica all'inizio del XIX secolo: l'identificazione della famiglia linguistica indoeuropea, alla quale appartengono numerose lingue eurasiatiche che condividono molte caratteristiche in comune nel vocabolario e nella grammatica; inoltre è stata rilevata una somiglianza notevole nella mitologia e nella religione di diversi popoli antichi di lingua indoeuropea.
Basandosi su documenti persiani e indiani si è giunti alla conclusione, a sua volta abbandonata dall'indoeuropeistica contemporanea, che i portatori di questa lingua si autodenominavano Ariani (dal sanscrito "Arya", che significa "nobile" o "puro"). La parola "arianno" compare per la prima volta nel testo sacro indoario Rigveda e nell'Avesta iranico. I termini vedici e avestici sono derivati direttamente da *arya (proto-indoiranico), apparentemente un'autodenominazione dei proto-Indoiranici. Poiché, nel XIX secolo, gli Indoiranici erano il popolo che parlava quella che all'epoca era ritenuta essere la più antica lingua indoeuropea, la parola "ariano" è stata adottata per riferirsi non solo alla gente indoiranica, ma anche a tutti gli altri popoli indoeuropei.
Nel Saggio sull'ineguaglianza delle razze umane pubblicato a metà del XIX secolo da Joseph Arthur de Gobineau si trova la prima definizione di razza ariana come "razza bianca pura". Il saggista francese ha affermato la superiorità dell'aristocrazia ariana rispetto al popolo, secondo lui invece frutto della mescolanza degli Ariani con razze inferiori. L'idea che gli europei fossero i più puri è stata successivamente affermata assiduamente non solo da De Gobineau ma anche da altri scrittori: il più importante è stato il suo discepolo Houston Stewart Chamberlain, che ha scritto della razza ariana: «Colei che ha parlato le lingue indoeuropee ed è stata prescelta per essere il più nobile dei popoli».
Nel XIX secolo c'è stato un ulteriore salto dalla linguistica all'etnologia: è stato dichiarato che gli esseri umani che parlano la lingua discendente dagli indoeuropei (tra i quali gran parte degli europei) discendono anche geneticamente da questo popolo. Di conseguenza gli esseri umani "bianchi" sono stati identificati come discendenti degli Ariani. Gli ebrei, sebbene in Europa siano indistinguibili dagli altri popoli (anche per il colore chiaro della pelle e degli occhi), sono stati politicamente esclusi da questa definizione durante il nazismo, perché non ritenuti di "pura origine indogermanica".
In India, sotto l'Impero britannico, i britannici hanno usato l'idea della razza ariana conquistatrice per fondere la dominazione britannica con il sistema delle caste indiane. Si ribadiva che gli Ariani erano gente "bianca" che aveva invaso l'India nei periodi antichi, sottomettendo i Dravidi indigeni più scuri, che sono stati poi spinti verso sud. Così la fondazione dell'Induismo è stata attribuita agli invasori "bianchi" che si erano stabiliti come caste dominanti e che avevano scritto i testi Veda.
Secondo l'ideologia nazista la "razza ariana" (in tedesco arische Rasse) comprende tutti i popoli europei eccettuati i lapponi (Adolf Hitler, Mein Kampf). Al tempo stesso Hitler propone il principio della diversità tra gli ariani stessi, assegnando un primato "biologico" ai popoli nordici (intendendo non tanto i Paesi nordici come oggi comunemente intesi, quanto quelli dove si parla una lingua germanica) rispetto agli altri ariani.
Secondo il nazionalsocialismo i popoli semitici sono una presenza straniera presso le società ariane; essi sono considerati la causa della distruzione dell'ordine sociale e portatori di valori che conducono alla rovina della civilizzazione e della cultura. Secondo gli ideologi nazionalsocialisti, la razza ariana ha sviluppato una civiltà che ha dominato il mondo negli ultimi cinquemila anni. Questa civiltà è declinata in molti Paesi al di fuori dell'Europa perché le "razze inferiori" hanno mescolato il loro sangue con quello ariano; tracce della civiltà ariana sono ancora visibili nel Tibet (attraverso il buddismo), in Cina (Tocari) e in India.
Già prima della salita al potere di Hitler, Heinrich Himmler inviò Ernst Schäfer in Tibet e in Nepal, che sono visti come la culla della civiltà, dove riteneva fossero comparsi i primi Ariani. Con lui era l'antropologo Bruno Beger, che effettuò tutta una serie di misure biometriche sui nativi. La convinzione di un'unica civiltà indoeuropea millenaria portò il movimento nazionalsocialista ad adottare come simbolo ufficiale un antico simbolo indoeuropeo: la svastica.
Secondo l'ideologia nazista la storia è una lotta tra la razza ariana, creatrice di civiltà, e le altre razze, considerate inferiori sia culturalmente che biologicamente. La "visione del mondo" nazista deriva, in parte, anche da una distorsione del pensiero nietzscheano circa la contrapposizione tra l'uomo libero, forte, nobile (che "anela al superuomo") e l'uomo debole, meschino, malato nell'anima (décadent, secondo la definizione nietzscheana). Tuttavia l'idea nietzscheana di Übermensch implica una "rivoluzione umana" (l'uscita dal nichilismo mediante la costruzione di "nuove tavole di valori") che non ha nulla a che vedere con distinzioni su base razziale: per Nietzsche esistono uomini superiori, non razze superiori. L'immagine di un Nietzsche fautore dell'arianesimo e dell'antisemitismo è dovuta alla manipolazione delle opere del filosofo a opera della sorella Elisabeth, moglie di un noto agitatore antisemita e fervente ammiratrice di Hitler (nonché "icona culturale" del suo regime) negli ultimi anni di vita.
La teoria che la patria originaria ariana sia stata nelle steppe della Russia (Teoria kurganica, tutt'oggi ampiamente maggioritaria nell'indoeuropeistica) è stata rifiutata in larga misura dai circoli nazionalisti in Germania. Secondo teorie pseudoscientifiche (per esempio quella di Hans F.K. Günther) l'ariano è originario delle regioni meridionali della Scandinavia o della Germania settentrionale, o almeno le caratteristiche razziali originarie si sono mantenute particolarmente pure in tali regioni. L'ariano è stato considerato fisicamente e mentalmente superiore e sulla purezza è stata basata la razza. L'ideologia del nazionalsocialismo ha interpretato così il termine "ariano" come razza dominante puramente germanica, la cui missione era di sottomettere o estinguere tutti i presunti popoli inferiori. I nazionalsocialisti hanno così giustificato la catalogazione di semiti e di slavi come "subumani". Hanno usato ancora un termine originariamente linguistico (semiti) in senso razziale. Gli abitanti del Terzo Reich e delle zone controllate dai nazionalsocialisti dovevano fornire il cosiddetto Ariernachweise come prova della loro purezza razziale. Con l'idea di mantenere pura la razza ariana, l'eutanasia o la sterilizzazione vennero usate su individui mentalmente handicappati o altrimenti "indesiderabili".
La natura apparentemente scientifica di tali teorie, proposta in particolare da Alfred Rosenberg in Razza e storia della razza, fu molto efficace nel diffondere le teorie ariane di supremazia tra gli intellettuali tedeschi all'inizio del XX secolo, particolarmente dopo la Prima guerra mondiale e in misura eclatante con la presa del potere in Germania dei nazionalsocialisti. Nell'estrema ricerca della purezza della razza fu varato un ampio programma di eugenetica (sterilizzazione obbligatoria dei malati mentali e mentalmente carenti), di eutanasia (uccisione dei disabili, fisici e psichici, istituzionalizzata con il programma Aktion T4), di genocidio (principalmente ebrei e zingari), oltre che di persecuzione e omicidio di massa di altri gruppi identificati su basi più sociali e politiche quali gli omosessuali, i cosiddetti "antisociali", gli oppositori del regime, i testimoni di Geova e gli appartenenti ad altre sette religiose. Inferiori agli ariani sono stati considerati dai nazionalsocialisti anche i popoli slavi dell'Europa orientale, che dovevano essere trasferiti più ad est, lasciando i loro territori alla colonizzazione tedesca per assicurare lo spazio vitale (Lebensraum) alla Germania. Nel Mein Kampf Hitler disse che gli slavi dei territori ad est della Germania dovevano essere trattati come i pellerossa in America, sebbene le lingue slave rientrino nel gruppo indoeuropeo. Questa incoerenza ritornò alla luce durante la guerra: per esempio, diversi popoli slavi militarono al fianco dell'Asse (bulgari, croati, slovacchi) e durante l'operazione Barbarossa i tedeschi trovarono conveniente identificare una "morfologia" del popolo ucraino affine a quella germanica, per arruolarlo nelle SS.
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