lunedì 18 gennaio 2016

La Chirurgia Plastica Etnica



Da alcuni anni è aumentato in tutto il mondo il ricorso a pratiche di medicina estetica e chirurgia plastica per modificare i tratti esteriori allo scopo di minimizzare gli elementi distintivi e caratterizzanti l’origine etnica. Queste esigenze estetiche, ispirate a modelli occidentali, non sono sentite solo dai ceti sociali più elevati ma anche dalla gente comune, in particolare da persone che intendono inserirsi in un Paese diverso da quello di origine. Una pelle più chiara, e un aspetto che non riveli in modo inequivocabile un’origine legata a paesi ancora poveri o in via di sviluppo, può rappresentare davvero un lasciapassare per un lavoro migliore, un salario più alto, e la via di accesso ad ambienti socialmente più elevati?

Gli interventi più richiesti della chirurgia plastica «etnica» sono la “cantoplastica”, ossia il rimodellamento degli occhi orientali per ottenere una forma più arrotondata e minimizzare quella a mandorla, la rinoplastica (la tecnica denominata “slump implant” mira a rimpicciolire la base del naso e affinare la punta) per i soggetti mediorientali sia donne che uomini ma anche per gli afroamericani che talora la associano alla cheiloplastica (la riduzione del volume delle labbra) e a liposuzioni per il rimodellamento corporeo.

«Un fenomeno tutt’altro che marginale e dalle complesse implicazioni psico-sociali che non possono essere sottovalutate dal medico - spiega il Professore Mario Dini, già Direttore della Scuola di specializzazione in Chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica dell’Università di Firenze, intervenendo nel corso di un incontro a Milano dedicato all’argomento - In realtà moltissime pratiche vengono eseguite da soggetti a basso reddito che cercano soluzioni economiche e spesso rischiose. Persone che si affidano a strutture dei loro Paesi dove talora non vigono strette norme di sicurezza e igiene. Per non parlare dell’enorme sottobosco dei trattamenti fai-da-te e dell’uso di prodotti spesso vietati che in molti casi portano a danni molto difficili da risolvere».

Ma, a parere di un esperto, modificare i tratti cercando di minimizzare l’origine geografica o etnica è sempre da evitare? «No, o almeno non in assoluto. Facciamo un esempio: il naso mediorientale è oggettivamente grande e sul volto delicato di una donna può appesantire e indurire i lineamenti. La rinoplastica quindi può migliorare l’aspetto e rendere una donna più bella in assoluto mentre schiarire la pelle con metodi aggressivi è uno stereotipo. Il rischio di assecondare tutte le richieste è di andare incontro ad una delusione e a una insoddisfazione. I media hanno fatto una enorme pressione per trasferire il concetto che la pelle chiara (uno degli stereotipi più comuni) sia legata alla possibilità di avere successo, ma questo è il frutto della necessità del marketing delle aziende di vendere prodotti sbiancanti e creme solari ad altissima protezione».

«Le persone hanno spesso idee fantastiche e attribuiscono ad un intervento sul corpo il potere di cambiare la propria vita - continua il professor Dini - La maggior parte delle volte non è così. È coerente pensare che una donna senza seno sia a più agio dopo averlo fatto ingrandire in modo che la sua immagine interiore corrisponda a quella reale, ma le questioni legate alla “razza”sono molto più delicate, profonde, antiche. Il paziente straniero che desidera assimilare il suo aspetto a quello occidentale, universalmente considerato di successo, spera che il bisturi possa cambiare la cultura e questo non è possibile».

L’analisi è condivisa dalla dottoressa Genevieve Makaping, antropologa, giornalista e scrittrice camerunense: «Il rischio di accettare incondizionatamente di intervenire su questi soggetti rispondendo sempre “si” alle loro richieste è di lasciarle in un limbo culturale. Le persone che cercano di cancellare o minimizzare i propri tratti originari non sono completamente assimilate agli occidentali e si allontanano dal proprio gruppo sociale che spesso critica e stigmatizza questa scelta perché si sente a sua volta discriminato. Questa pressione all’omologazione nasce in parte dalla mancanza di supporto e mediazione sociali nei paesi di origine e in quelli di destinazione. Molto spesso gli emigrati sono lasciati a loro stessi, con poche capacità di sviluppare i propri talenti e schiacciati da uno stigma che parte da loro stessi».



Dietro e oltre la «maschera» del corpo spesso si cela una richiesta di riconoscimento. Osserva il counselor interculturale Ivan Carlot nell’introduzione al testo La follia dei dannati. Franz Fanon e la psichiatria tra potere e dolore, cura e rivoluzione, di Mauro Semenzato (IPOC): «Le questioni coloniali, rispetto a cinquant’anni fa, sono oggi profondamente mutate; trasfigurate e riordinate lungo processi che garantiscono in continuità accumulazione, interessi e poteri. Questioni che si sono parallelamente depositate nelle vicende di popolazioni e di gruppi, nelle rappresentazioni e nelle biografie di molti di coloro che fuggono, che giungono anche in Italia con un’aspettativa, con domande, debolezze e vitalità. Spesso si tratta di una richiesta di riconoscimento: parola centrale e problematica nel discorso di Fanon. Il riconoscimento è in grado di essere ancora la conferma della (relativa) libertà concessa al negro, la ripetizione delle dinamiche di dominio e schiavitù; oppure essere un articolato percorso di rimeditazione e rimedio delle ingiustizie, un conoscere nuovo l’altro attraverso e oltre le maschere, conoscere altro dell’altro».

Ecco che la chirurgia estetica rende il naso negroide (narici larghe) più snello, le palpebre orientali meno pesanti, la bocca eccessivamente carnosa più delicata. La bellezza oggi ha i canoni occidentali. Soprattutto le donne asiatiche, ma anche quelle africane ed afroamericane, si rivolgono alla chirurgia estetica per avere tratti meno etnici. L’idea di bellezza sta diventando sempre più globale. Aumenta sempre più il numero delle donne (ma anche degli uomini) dai lineamenti asiatici e negroidi che si sottopongono alla chirurgia estetica per “occidentalizzare” i tratti somatici caratteristici dell’etnia di appartenenza.  Questo fenomeno iniziato in sordina negli ultimi anni è diventato una e vera e propria tendenza.

Nell’occhio a mandorla, la pelle palpebrale compresa tra il sopracciglio e le ciglia forma un piano quasi verticale, privo della “occidentale” piega palpebrale. L’occhio appare così più piccolo, con un’aria triste ed abbattuta. Per mettere maggiormente in risalto il proprio sguardo, molti asiatici ricorrono alla blefaroplastica “etnica”.

A ricorrere maggiormente a questo intervento sono le donne giapponesi desiderose di modificare i propri occhi a mandorla con uno sguardo più aperto e lineamenti più occidentali.

Le labbra carnose – simbolo di sensualità nella cultura moderna – sono un pregio ricercato dalle donne occidentali. Ma una bocca particolarmente carnosa risulta sproporzionata nell’armonia generale del viso. Molte donne dai lineamenti africani richiedono la cheiloplastica riduttiva per ridimensionare il volume delle labbra. Grazie ad incisioni laser realizzate dal chirurgo estetico all’interno della bocca è possibile ridurre il volume della mucosa senza cicatrici visibili.

L’intervento di chirurgia estetica più richiesto dai soggetti di origine africana riguarda la correzione del naso dalla conformazione tipicamente negroide (schiacciato).

La rinoplastica in questo caso è finalizzata alla riduzione delle strutture cartilaginee ed in particolare la cartilagine alare. Interventi di questo genere devono essere realizzati con particolare attenzione alla coerenza estetica di tutto il volto.

I diversi canoni di bellezza dei vari paesi tendono attualmente ad uniformarsi a quelli occidentali (europei / americani). Questa tendenza è rafforzata dai mezzi di comunicazione (TV, cinema, internet, stampa, ecc) che divulgano un’imagine stereotipata occidentale quale icona di bellezza universale.

Alcune osservazioni statistiche dimostrerebbero che nelle cliniche asiatiche si sta verificando un vero e proprio boom di richieste da parte di donne che si rivolgono ai medici chirurghi per sottoporsi a complesse operazioni facciali.

Sempre secondo le osservazioni di un istituto americano, nel corso dell’ultimo anno sarebbero aumentate del 12 per cento le donne che desiderano “occidentalizzarsi”.

Ancora in merito, l’istituto sottolinea come nei soli Stati Uniti un quarto degli 11 milioni di interventi plastici effettuati ogni anno riguarderebbero persone che desiderano celare i propri tratti etnici, andando in tal modo ad abbracciare gli standard europei e americani.

La percentuale è chiaramente più elevata nel territorio asiatico, dove cresce del 20 per cento la richiesta di interventi di trasformazione della linea degli occhi, con abbandono della forma “a mandorla” e opzione per quella occidentale.




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